Ma cosa hanno fatto di preciso Adamo ed Eva? (parte 3)

Is Original Guilt a Biblical Idea? - exegetical.tools

Nelle puntate precedenti, abbiamo visto che il peccato originale consiste nell’abito dell’anima umana di privazione della giustizia originale e abbiamo anche visto che cosa sia questa giustizia originale e quali effetti disordinati la sua privazione causi nella nostra anima.

A questo punto, la domanda sorge spontanea e ha interrogato tantissimi teologi prima di noi: ma cosa hanno fatto i nostri protogenitori, che la Bibbia chiama con i nomi emblematici di Adamo ed Eva, per perdere la giustizia originale?

Il peccato originale è il dogma più complesso della teologia cattolica

Le teorie avanzate sono state delle più diverse, dal rapporto sessuale in quanto tale, a quello contro natura, fino ad arrivare alla zoofilia (sì, c’è anche chi ha affermato questa assurdità!) alla letterale raccolta di un pomo da un albero. L’insegnamento della Chiesa – l’unica interprete ultima e autorevole della Scrittura1Cfr. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, III.12. – non si è mai espressa infallibilmente al riguardo (almeno per quanto ne so: se sbaglio, mi scuso e prego il lettore che mi corregga). La Tradizione ci fornisce tuttavia molto materiale di riflessione su questo punto.

In realtà, le domande che coinvolgono il dogma del peccato originale sono numerose e di non facile risoluzione. Per esempio, una prima domanda (che risolveremo) è la seguente: se nello stato di giustizia originale l’uomo e la donna godevano di scienza naturale perfetta e anche di scienza infusa da Dio, perché cedettero così facilmente alle falsità del demonio?




Altre domande, invece, per certi versi più interessanti, riguardano la verità del dogma del peccato originale alla luce delle più moderne scoperte delle scienze naturali. Ad esempio, se è vero che l’uomo ha commesso un atto che ha avuto effetti non solo su di esso, ma anche sul cosmo, allora come mai – come sappiamo dalla scienza – le stesse leggi fisiche di corruzione esistevano anche prima della comparsa dell’uomo sulla Terra? Anche i dinosauri si ammalavano e morivano.

A questa domanda, cui possiamo solo accennare adesso, dedicheremo molto volentieri degli articoli in futuro. Per il momento, dedichiamoci a comprendere dapprima che cosa insegna il dogma del peccato orginale, per poi in futuro analizzare le obiezioni di coloro che lo impugnano.

Cosa sono i due alberi di Genesi?

Nel XIII secolo, quando san Tommaso d’Aquino insegnava e scriveva il capolavoro della Summa theologiae, era convinzione comune che la Genesi fosse un libro storico e che quanto scritto in esso fosse da prendere alla lettera. Oggi ovviamente sappiamo che non è così. L’Universo non è stato davvero creato in sette giorni e il racconto del peccato originale, così com’è scritto, usa simbolismi ben precisi per comunicare una realtà universale.

E’ scientificamente dimostrato, tuttavia, al contrario di quanto si è creduto a partire dal XIX secolo, che l’uomo discende da una coppia primigenia (e non molte), che possiamo quindi ben far coincidere con la coppia di protogenitori di cui ci parla la Scrittura, ossia Adamo ed Eva.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.

Genesi 2, 9.

Nella Genesi leggiamo che Dio collocò Adamo in Eden, dove erano presenti anche due alberi: l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino,  ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».

Genesi 2, 16-17.

Dio proibì ad Adamo di mangiare solo il frutto della conoscenza del bene e del male, non dell’albero della vita. Ora, non bisogna intendere questi due alberi nel senso di due specie botaniche, ma come simboli, e quindi come riferimenti a qualcos’altro. Si tratta evidentemente di un linguaggio simbolico molto familiare per il linguaggio degli ebrei cui era destinato il testo originale, un po’ meno familiare ormai per le nostre orecchie. Da qui l’importanza della Tradizione, che ci aiuta a comprendere meglio questo passaggio.

San Beda il Venerabile [673 – 735] e lo storico Strabone [60 a.C. – 24 d.C.] spiegano che l’albero della vita rappresenta l’integrità del corpo, della mente e dello spirito, integrità della quale – come abbiamo visto – Adamo ed Eva godevano perfettamente prima della Caduta.

Pietro Lombardo [1065-1160], uno dei più grandi teologi e punti di riferimento della Chiesa medievale, ci insegna invece che l’albero della conoscenza del bene e del male è una definizione del peccato. Infatti, senza il peccato, Adamo avrebbe conservato la giustizia originale e avrebbe comunque saputo cosa sono il bene e il male, ma in modo diverso: avrebbe cioè conosciuto il bene per nozione e per esperienza, il male invece solo per nozione. Il peccato, invece, fa conoscere il male non solo per nozione, ma anche per esperienza.

Quando Dio proibisce ad Adamo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, semplicemente proibisce ad Adamo di fare esperienza di ciò che va contro la giustizia originale e di limitarsi a conoscere il male per nozione.

Solo dopo il peccato originale, la Trinità (da notare che anche in ebraico il verbo è plurale) dice:

«Ecco l’uomo è diventato quasi come noi,2Da notare che le traduzioni moderne traducono con “l’uomo è diventato come noi”, traviando così il senso del testo originale. San Girolamo traduce dalla Bibbia ebraica in latino correttamente: Ecce homo factus est quasi unus ex nobis, ut sciat bonum et malum. a causa della conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!»

Genesi 3, 22.

Infatti, il peccato originale ha fatto perdere l’integrità fisica, mentale e spirituale dell’essere umano. Metaforicamente parlando, l’uomo non ha più potuto “mangiare” di quest’albero della vita. Egli ha dovuto quindi attendere il riscatto di Gesù Cristo, la cui croce rimanda proprio all’albero della vita della Genesi. La Croce è il vero albero della vita che Adamo e i suoi discendenti non hanno più potuto toccare e in Cristo ci è ridonato, in particolare attraverso l’Eucarestia, “frutto dell’albero della vita”, il pegno della gloria futura e della giustizia ristabilita.

Ma perché Dio dice che l’uomo è diventato “quasi come lui a causa della conoscenza del bene e del male”, cioè del peccato? La soluzione è semplice, perché chi vuole essere come Dio finisce per diventarlo in modo perverso, come fanno appunto il diavolo e l’uomo peccatore. La somiglianza tra Dio e il peccatore che vuole ergersi a divinità (quindi che vuole aumentare la propria potenza) è solo apparente.

Perché un serpente e non una colomba?

Compreso dunque il significato dei due alberi dell’Eden, cerchiamo di capire in che modo Adamo ed Eva peccarono in maniera tale da perdere la giustizia originale e con essa l’integrità psico-fisica e spirituale.

Anzitutto bisogna dire che il serpente, figura con cui è simboleggiato il diavolo nel racconto biblico, significa due cose.

  • La prima, quella più evidente, è che il peccato originale non fu causato da una debolezza dell’uomo, ma da una tentazione esterna, cioè appunto quella di un angelo caduto. La morte e il peccato sono entrati nel mondo per invidia del diavolo, infatti. Satana non accettava che l’uomo potesse con l’umiltà dell’obbedienza salire laddove lui era caduto per la sua superbia. Pertanto, desiderò tentare l’uomo e farlo peccare per ostacolare il raggiungimento della gloria eterna di Adamo, Eva e della sua prole.
  • La seconda, quella meno evidente, è che Dio permise che Satana tentasse l’uomo, ma non permise che lo facesse con una frode troppo nascosta. E quindi la figura del serpente rappresenta sì lo spirito di frode con cui Satana volle tentare l’uomo, ma una frode incompleta: infatti il serpente è un animale che suscita diffidenza e disgusto in chi lo osserva. Allo stesso modo, Eva avrebbe potuto riconoscere nella tentazione, a motivo della sua scienza perfetta, l’opera di uno spirito impuro. Ma non accadde. Scrive Pietro Lombardo che “venne dunque il diavolo nell’aspetto di serpente, mentre forse, se fosse stato permesso, avrebbe preferito venire nell’aspetto di una colomba”.3Pietro Lombardo, Sentenze II, dist. 21.

Il dialogo che ebbe luogo tra Eva e Satana

E ora analizziamo l’ordine con cui la tentazione si è presentata nella mente di Eva. Infatti, l’atto peccaminoso non si è presentato immediatamente, ma seguendo un ordine, rappresentato con delle domande. Il serpente domanda a Eva: Perché il Signore vi ha comandato di non mangiare di nessun albero del paradiso?” (Genesi 3,1)4Anche qui le traduzioni moderne errano. Ad esempio, la traduzione della CEI e le traduzioni protestanti della Nuova Diodati e della Nuova Riveduta riportano: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”, traviando così il senso profondo della domanda.. E’ questa la domanda che apre la strada al tentatore. In altre parole, Eva si interroga dapprima sulle conseguenze dell’eventuale trasgressione della legge di Dio.

E da notare a questo punto la risposta che Eva dà al serpente: “Del frutto degli alberi che sono in Eden noi
possiamo mangiare, ma dell’albero che e nel mezzo del paradiso il Signore ci ha comandato di non mangiarlo e di non toccarlo, perché eventualmente non dovessimo morire
(Genesi 3, 2-3)5Anche qui, le traduzioni moderne errano: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete“, eliminando così la dimensione dubitativa della risposta di Eva.. Da notare che la risposta di Eva ha una dimensione dubitativa, come si può notare dall’avverbio “eventualmente” (forte, in latino).

Ogni volta che dubitiamo di qualche tesi, tendiamo ad avvicinarci più alla negazione che all’affermazione di essa. E così avvenne per Eva: ella dubitò che l’esperienza del male potesse davvero togliere l’uomo dallo stato di giustizia originale. Ma il dubbio non fu ancora il peccato originale. Infatti, dubitare delle verità di fede non è di per sè peccato, se serve ad approfondirle per comprenderle meglio, ma diviene peccato solo quando il dubbio porta alla negazione della verità di fede oppure quando non ci si cura di studiarli per conoscere la verità.

Il dubbio di Eva non fu contro la verità di fede (ella sapeva che quello che Dio insegna e comanda non può che essere vero), ma evidentemente fu un “dubbio di ipotesi” (dubius problematicus, come scrive san Tommaso nel Commento agli Analitici Primi), che poteva essere usato anche in maniera positiva, per rispondere al diavolo e vincerlo.6“Ogni tentazione procede o da un’ignoranza o da un dubbio che ha o colui che tenta, come quando uno mette alla prova una cosa, allo scopo di conoscere una sua qualità; oppure che hanno gli altri, come quando uno mette alla prova un altro, per darne dimostrazione agli altri, modo per mezzo del quale si dice che Dio ci tenta.” (Tommaso d’Aquino, S.Th. II-II, q. 97, a. 2, co.)

Da notare, infatti, che anche Cristo – novello Adamo – fu tentato da Satana nel deserto con uno schema simile. Ma egli rispose alle insinuazioni di dubbio del demonio con la certezza della Scrittura.7Cfr. Marco 4, 1-11; Luca 4, 1-13. “È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo.”

Il diavolo allora ha subito approfittato del dubbio di Eva per insinuare l’intenzione peccaminosa: “Non morirete affatto! Dio infatti sa che in qualunque giorno ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscendo il bene e il male” (Genesi 3, 4-5).

Quindi, ricapitolando, Dio ha affermato, la donna ha dubitato, il diavolo ha negato. E con la negazione della verità divina è sorto il desiderio malizioso: eritis sicut Deus. Ma Eva sapeva benissimo che è impossibile per la creatura essere divina, perché l’una è finita e l’altra infinita, e tuttavia si può desiderare di essere come Dio sotto l’aspetto della potenza. In altre parole: “sarò come Dio se potrò fare quello che fa Dio“. E’ lo stesso desiderio che ha avuto Lucifero, ora è lo stesso desiderio che ha Eva.

Ma se si può fare quello che fa Dio, incluso portare all’essere altre cose e governarle, perché sottostare alla sua volontà?

Continua nella quarta parte.

Gaetano Masciullo