Tommaso d’Aquino: la forma e gli effetti dell’Eucarestia (terza parte)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito della rivista Logos.

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La forma dell’Eucarestia

Qual è invece la forma del Sacramento eucaristico?

La risposta è presto detta: la forma dell’Eucarestia è la carne, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo.

In altre parole, la fede cattolica ci insegna che, dopo la consacrazione e la pronuncia della formula da parte del sacerdote (da notare le parole usate: la formula si chiama così perché appunto rimanda alla forma: “Questo è il mio corpo”, “Questo è il calice del mio sangue”), il pane e il vino rimangono tali solo a livello sensoriale, ma la loro forma cambia, c’è quella che in teologia si chiama transustanziazione, “passaggio di sostanza”.

Sia nel pane sia nel vino, in ogni singolo frammento e in ogni singola goccia, c’è interamente Gesù Cristo, non solo nella sua natura divina, ma anche nella sua natura corporea. Certamente un corpo diverso da quello che abbiamo noi, un corpo rinnovato e glorioso che non si fa racchiudere in un luogo e che, come sappiamo dal vangelo, trascende le leggi fisiche: “entrò a porte chiuse e stette” (Gv 20,19).

Non diciamo infatti che in dieci particole consacrate ci sono dieci Gesù Cristo. Gesù Cristo è uno solo, ugualmente presente in tutte le ostie e in tutti i calici consacrati del mondo, allo stesso modo con cui il fuoco usato per accendere dieci candele è sempre lo stesso e non perde energia e luce nell’accendere altre infinite candele.

Beato Angelico, Messale di S. Domenico, Miniatura raffigurante S. Tommaso d’Aquino, Biblioteca del Museo di S. Marco,
1424-1425/1428-1430.

Gli effetti dell’Eucarestia

Un aspetto molto interessante della trattazione tommasiana del Sacramento eucaristico è quella degli effetti che esso concede all’individuo che lo riceve. Gli effetti dell’Eucarestia, indicati dal santo sulla scorta delle grandi autorità teologiche del suo tempo e della Scrittura, sono due.

Il primo effetto è il conseguimento della grazia.

Per capire questo concetto, bisogna capire prima di tutto che cosa sia la grazia. La grazia è, per così dire, il rapporto di amicizia tra Dio e l’uomo. Di più: la grazia è lo stesso Dio che vive spiritualmente in noi e ci rende liberi. La dottrina cattolica che l’uomo è tarato (quasi geneticamente) dal peccato originale. Il fine dell’Incarnazione di Cristo – rinnegato il quale perde di senso tutta la storia della salvezza – è proprio il riscatto dell’umanità da questa colpa così connaturata all’uomo che nessuno nasce privo di esso.

Solo Maria (“Immacolata Concezione”) e ovviamente Gesù sono nati esenti dal peccato originale e dai suoi cinque effetti: la corruttibilità del corpo, l’oscurità dell’intelletto, la debolezza della volontà, la violenza dei desideri… e la morte della grazia. Il peccato originale è stata una colpa di valore infinito agli occhi di Dio, tanto che nessun uomo può con le sue forze finite sperare di espiarlo, né da solo né insieme ad altri. Ci vorrebbe un “altro Dio”: ma non c’è un altro Dio all’infuori di Dio! La profonda carità che il Signore prova per il genere umano, sua creatura, lo ha spinto ad assumere carne umana per espiare egli stesso – lui, sommamente innocente – il peccato originale al posto nostro. E con il Battesimo applichiamo questo merito infinito al nostro corpo macchiato, così purificandolo.

Benozzo Gozzoli (1420-1497),
Trionfo di S. Tommaso d’Aquino,
tempera su tavola, 102 cm x 230 cm,
1470-’75, Museo del Louvre

E questa rigenerazione in Cristo va nutrita, così come un bimbo donato alla vita va nutrito. Questo nutrimento è l’Eucarestia, che ci aumenta la grazia come il cibo aumenta l’energia, perché ci uniamo alla stessa grazia che è Cristo, e ci protegge dal peccato – soprattutto dal peccato mortale, che si chiama così perché minaccia di uccidere di nuovo questo rapporto di amicizia, se compiuto. Ecco perché, secondo san Tommaso d’Aquino e, più in generale, secondo la dottrina della Chiesa cattolica, non bisogna assolutamente comunicarsi quando si è in peccato mortale.

Dalla vita del corpo impariamo che, quando siamo malati, non possiamo mangiare come quando siamo sani, altrimenti rischieremmo di stare peggio. Così avviene nell’Eucarestia: “ciascuno, pertanto, esamini se stesso [cioè veda se ha commesso qualche peccato grave] e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore [cioè in peccato mortale], mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,28-29). Il Sacramento della Penitenza non è un optional della fede cattolica, ma va vissuto frequentemente e il suo fine è quello di accostarsi degnamente al farmaco di salvezza, che è l’Eucarestia.

Il secondo effetto è il conseguimento della gloria. Infatti, Gesù dice nel vangelo: “Se uno mangerà di questo pane, vivrà in eterno” (Gv 6,52) e la vita eterna è la vita di gloria in paradiso. Ma tale gloria non si assume subito dopo aver mangiato l’Eucarestia. Così come la Passione di Cristo è causa sufficiente per acquisire la gloria, ma non immediatamente, perché prima dobbiamo unirci alla sua Passione e solo poi possiamo acquisire la gloria divina (cfr. Rm 8,17), così anche l’Eucarestia ci proietta alla vita di gloria, ma non subito, e per questo motivo è anche chiamata viatico, che è il termine con cui si indicava il cibo che i viandanti portavano con sé nel fagotto.

Gaetano Masciullo