Tommaso d’Aquino: il cantore dell’Eucarestia (Prima Parte)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Lògos, la rivista della Diocesi di Matera-Irsina.

Il miracolo di Bolsena

È l’estate dell’anno 1264, quando un evento prodigioso sconvolge gli abitanti di Bolsena, un paesotto del Lazio, situato un po’ più a nord di Roma. Il teologo e sacerdote Pietro da Praga aveva ottenuto udienza dal papa, Urbano IV, per disquisire di alcune questioni riguardanti la Chiesa boema. All’epoca, il papa si era ritirato a Orvieto, distante da Bolsena quattro ore di cammino, e il sacerdote, conclusa l’udienza, dovette fare tappa a Bolsena per riposare e celebrare – come d’ufficio – la santa Messa, nella chiesa di santa Cristina.

Pietro da Praga, noto all’epoca per la sua profonda dottrina e religiosità, nutriva talvolta dubbi circa il dogma della transustanziazione, ovvero l’insegnamento della Chiesa circa la presenza reale di corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo nell’ostia consacrata. Nel XIII secolo, in effetti, Pietro da Praga non era l’unico a dubitare della verità del dogma eucaristico. Molti teologi stavano iniziando a mettere in forse questo dogma creduto semper, ubique et ab omnibus – come recitava san Vincenzo di Lerins [V sec.]. Alcuni avevano anche deciso di sostenere pubblicamente le proprie tesi eterodosse sull’Eucarestia, come fecero ad esempio Berengario di Tours [+1088] e poi, più diffusamente, i preti della setta degli Albigesi, che già da diverso tempo imperversava in Francia e nell’Italia settentrionale.

Quando Pietro recita la formula consacratoria, ecco che le ostie diventano visibilmente frammenti di carne umana, dai quali gronda sangue vivo. La notizia si diffonde velocemente e raggiunge Orvieto e il papa. Urbano IV vuole andare a verificare di persona e chiama con sé un frate domenicano, che in quel periodo insegnava proprio al convento di Orvieto. Quel frate si chiama Tommaso d’Aquino.

Tommaso d’Aquino: da benedettino a domenicano

Tommaso d’Aquino è definibile, a ragione ancora oggi, il più grande teologo della storia della Chiesa cattolica. Egli nacque a Roccasecca, nel Lazio, nel 1225, da una delle famiglie aristocratiche più antiche del Regno di Napoli, ma di origine longobarda. Tommaso d’Aquino è la figura che forse riassume in maniera più eminente lo “spirito medievale”, tanto demonizzato negli ultimi secoli dagli studiosi di orientamento illuminista e positivista.

Fu inviato giovanissimo dalla famiglia nell’abbazia benedettina di Montecassino come oblato, nella speranza di vederlo un giorno abate di quel prestigioso luogo. Ma la Provvidenza voleva diversamente. A causa di una tensione sempre più forte tra il papato e Federico II di Svevia, san Tommaso dovette abbandonare l’abbazia e recarsi a Napoli per continuare gli studi universitari. Qui conobbe l’Ordine dei Frati Predicatori – più noti come domenicani – e rimase estasiato dal loro carisma e dalla loro vocazione, orientata proprio a difendere e diffondere la sana dottrina. Intenzionato a recarsi in Germania, per studiare con l’altro grande domenicano del tempo, sant’Alberto Magno [+1280], fu intercettato lungo il cammino dai suoi parenti e imprigionato nella torre del castello di famiglia. La volontà di Tommaso di diventare domenicano non era vista di buon occhio dalla madre: diventare domenicano significava fare voto di povertà e, quindi, rinunciare a ogni forma di possedimento. Altro che abate di Montecassino!

Il “bue muto”

Per vincere la volontà di Tommaso, i cinici fratelli si ingegnarono persino a pagare una prostituta, affinché entrasse nella cella del povero giovane e lo tentasse nella carne, così da avvilirlo e farlo rinunciare all’idea di contrarre i voti, tra i quali spiccava quello di castità. Ma Tommaso si mostrò temperante e deciso, tanto che la madre fu costretta a cedere, a liberare il figlio e lasciarlo al suo destino di santità.

Tommaso d’Aquino era uno studente attento e brillante, un lettore affamato di tutte le grandi autorità del tempo, non solo studioso delle fonti sacre e degli eruditi cattolici, ma anche degli autori non cristiani: pagani, ebrei e musulmani. A proposito della sintesi dello “spirito medievale” di cui parlavamo pocanzi. Spesso immaginiamo l’uomo medievale come un uomo gretto e chiuso di mentalità, ma la storia ci insegna proprio il contrario. Un teologo cattolico come san Tommaso non aveva alcuna remora a leggere opere di filosofi e teologi di altre confessioni religiose e a saper trarre il bene e il vero anche da esse.

Alberto Magno, poi, fece scoprire al giovane Tommaso il grande amore filosofico della sua vita: il filosofo pagano Aristotele [384-322 a.C.]. Più pronto ad ascoltare che a intervenire nelle lezioni, i compagni di corso erano soliti etichettarlo spregiativamente come “bue muto”, ma è celebre la risposta che Alberto diede: “quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra”. Non ci volle molto tempo per capire che sant’Alberto Magno aveva ragione.

Nel 1252, san Tommaso iniziò la sua carriera di Maestro di teologia a Parigi, una delle massime cattedre dell’epoca, e vi rimase fino al 1259, quando tornò in Italia, proprio a Orvieto, per formare la neonata comunità domenicana che qui si era stabilita. E così torniamo all’inizio della nostra storia. Nel 1264, quando a Bolsena ci fu il miracolo eucaristico, papa Urbano IV e san Tommaso d’Aquino, che ormai godeva già di grande fama nella Chiesa come teologo competente e autorevole, si recarono nella chiesa di santa Cristiana per esaminare quanto avvenuto. Entrambi furono da subito persuasi dell’autenticità del fenomeno e il papa autorizzò il culto locale.

La liturgia della solennità del Corpus Domini

Dal momento che in Belgio, già da tempo, per combattere le eresie di Berengario di Tours, il vescovo di Liegi aveva istituito la festa del Corpus Domini, Urbano IV – che era belga – colse l’occasione per estendere tale festività alla Chiesa universale (con la bolla Transiturus, dell’11 agosto 1264) e combattere così con la bellezza della liturgia, ancor prima che con le disquisizioni universitarie, gli errori dottrinali che serpeggiavano non più solo tra i dotti, ma anche tra i cristiani più semplici. Il papa incaricò – neanche a dirlo – proprio san Tommaso di scrivere il testo della Messa dedicata all’esaltazione di quel Pane salvifico.

Il testo scritto dal teologo domenicano è un compendio sublime di teologia e un capolavoro di poesia. Il testo più famoso è certamente l’inno eucaristico che ancora oggi si utilizza in occasione delle adorazioni eucaristiche, il Pange lingua. L’Aquinate meritò il titolo con il quale è famoso ancora oggi, Doctor Angelicus, “Dottore Angelico”, per la sua purezza di vita e la dolcezza con cui fu capace di cantare a Dio. Nel 1264, Urbano IV morì e il suo successore, Clemente IV, convocò Tommaso d’Aquino a Roma per nominarlo teologo pontificio. In questo periodo, san Tommaso inizia a scrivere il suo capolavoro, la Summa theologiae, “Somma di teologia”, opera fondamentale che dovrebbe essere recuperata e studiata anche oggi dai seminaristi di tutto il mondo. San Giovanni Paolo II [1920-2005] scrisse, nella sua enciclica Fides et ratio, che san Tommaso d’Aquino è capace di «perenne novità» (n.43-44) e che «a buona ragione può essere chiamato Apostolo della verità» (n. 44).

La summa theologiae

La Somma di teologia è, nonostante il titolo (‘somma’ significa ‘sintesi’, ‘riassunto’), un’opera voluminosa di quattro parti, dove sono “compendiate” in maniera notevole e argomentate in maniera logicamente rigorosa tutte le verità di fede cattoliche: dalle questioni sull’unicità, unità e trinità di Dio, sui suoi attributi (semplicità, onnipotenza, onniscienza, ecc.), sulla natura delle singole persone trinitarie, arriva a parlare dell’uomo, del peccato originale, della sua natura, delle sue facoltà psicologiche (assai interessante è il suo trattato sulle passioni dell’anima: un vero compendio di psicologia), dell’immortalità dell’anima, fino ad arrivare alle questioni sulla vita di Cristo e sui sacramenti della Chiesa.

Purtroppo, san Tommaso d’Aquino morì prima di portare a termine quest’opera mirabile. Il Supplemento (così si chiamano le ultime questioni della Somma, che trattano il sacramento del matrimonio, il Purgatorio e altri argomenti) fu scritto dal suo confessore privato, Reginaldo da Piperno, che aveva appuntato nel corso del tempo le geniali argomentazioni del maestro.

Nel 1273, mentre celebrava Messa a Roma, ebbe un’esperienza mistica che lo sconvolse così tanto da smettere di scrivere. “Tutto questo per me è come paglia da bruciare”, disse quando si ritrovò al cospetto della Summa che egli stesso aveva compilato. Durante il viaggio verso Lione, per partecipare al Concilio convocato da papa Gregorio IX per il maggio 1274, fu preso da malore e morì qualche giorno dopo, il 7 marzo.

È interessante, alla fine di questo nostro breve viaggio, raccontare un episodio significativo della vita di san Tommaso d’Aquino. Durante un’altra visione mistica, mentre egli era in preghiera dinanzi al crocifisso per chiedere a Dio conferma dell’esattezza di quanto aveva scritto nel trattato sull’Eucarestia della Summa, udì alcune parole provenienti dall’icona: Bene scripsisti, Thoma, de me quam ergo mercedem accipies? – “Hai scritto bene di me, Tommaso, quale sarà la tua ricompensa?”. Facciamo nostra, ogni giorno, la risposta del santo Dottore Angelico: Non aliam nisi te, Domine – “Nient’altro che te, Signore”.

Gaetano Masciullo