La ricchezza materiale è sempre un male?

Questo post è stato pubblicato sul blog della rettoria “Santa Toscana” in Verona.

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Vangelo proclamato nella VIII Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria del rito romano)

Quando si pensa al rapporto tra ricchezza materiale e cristianesimo, si pensa di solito a un rapporto conflittuale. Si ritiene spesso – erroneamente – che Cristo sia venuto in terra a predicare una assoluta povertà economica e molti sono i sedicenti cristiani che hanno proposto e propongono questo modello di vita come unico modello di una vita coerentemente cristiana. Ma questa visione è falsa, perché incredibilmente contraddittoria e, quindi, impossibile.

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San Lorenzo diacono e martire, patrono dei diaconi.

Il vangelo proclamato nella VIII Domenica dopo Pentecoste è molto illuminante per capire quale sia la giusta ottica che il cristiano cattolico deve avere nei confronti della ricchezza materiale. Certamente ci sono diversi passaggi nel Vangelo e, più in generale, nella Scrittura che mettono in guardia l’essere umano dall’attaccare il proprio cuore alle ricchezze mondane, ma da questo non segue che le ricchezze sono intrinsecamente negative. Come tutti gli strumenti, anche la ricchezza è moralmente neutra e il suo valore morale dipende dall’uso che se ne fa.

Nel corso della storia della Chiesa, tantissimi santi hanno esaltato la povertà materiale in senso corretto e, dunque, autenticamente cristiano. San Lorenzo diacono, martire dei primi secoli, disse che il vero tesoro della Chiesa sono i poveri.

Ma questo non vuol dire che la povertà sia una cosa positiva o addirittura una grazia.

Al contrario, la povertà è un male sociale terribile e va combattuta. La povertà è una disgrazia. La Chiesa ama i poveri perché vuole essere in grado di vincere la loro condizione, anzitutto spiritualmente e mentalmente, cioé educandoli anche ad avere un sano rapporto con il denaro e con il risparmio.

Biografia di Papa Leone XIII
Leone XIII, il papa della Rerum Novarum.

In effetti, la dottrina sociale della Chiesa riconosce e promuove l’importanza di una economia del risparmio, da contrapporre all’economia del consumo (quest’ultima, oggi prevalente, rappresenta una causa significativa della povertà). Il documento magisteriale più importante da conoscere e meditare in tal senso è certamente la Rerum Novarum di papa Leone XIII, scritta nell’ormai distante 1891, ma ancora incredibilmente attuale.

Ma veniamo al brano evangelico odierno. Sicuramente la frase più enigmatica e importante di questa parabola (le parabole non sono mai di semplice comprensione!) è quella che leggiamo nella conclusione:

«I figli di questo secolo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quando morrete, questi vi accolgano nelle dimore eterne» (Luca 16, 8-9).

Cosa vuol dire? La parabola ci narra di un uomo ricco – che rappresenta Dio – e di un fattore che aveva dissipato i beni del padrone. Quest’ultimo rappresenta dunque ogni battezzato che usa male i beni ricevuti dal Signore: in altre parole, il fattore rappresenta l’uomo peccatore, ma in particolare colui che pecca usando male i beni materiali.

L'elemosina è controllata dalla criminalità?
L’elemosina

Essendo venuto a conoscenza della malefatta, il padrone convoca il fattore e chiede conto delle sue azioni, «perché ormai non potrai più essere mio fattore» (Luca 16, 2): il peccato mortale infatti ci sottrae la grazia e con essa la vita eterna e la protezione di Dio.

Il fattore pentito si chiede dunque cosa fare per tornare a vivere conservando un minimo della dignità di figlio di Dio.

Egli dunque raduna tutti i debitori del padrone e abbuona una parte significativa dei loro debiti. Egli viene cioé incontro alle cattive gestioni altrui, riscattando se stesso e gli altri. E’ questo il fine dell’elemosina, che la morale tradizionale della Chiesa indica come la penitenza più idonea per le colpe contro i beni materiali.

Differenza fra proprietà, possesso e detenzione
La dèa Dike, ossia la Giustizia presso gli antichi Greci.

Ecco dunque il significato della conclusione pronunciata dal Cristo. La ricchezza è chiamata in latino mammona iniquitatis, spesso tradotto erroneamente in italiano come “ricchezza disonesta”, ma alla lettera dovrebbe suonare in realtà come “ricchezza dell’ineguaglianza” (iniquitas significa assenza di equità). Il denaro infatti, così come gli altri beni materiali, è per sua natura distribuito in misura ineguale, ma questo non è un male intrinseco: è nella natura dell’economia. Ogni economista infatti sa bene che la prima preoccupazione dell’economia è la gestione delle risorse in quanto scarse.

Qui Cristo ci dice che possiamo usare questa scarsità per un bene a tutto tondo, sia per l’anima che per i corpi dei fratelli che vivono in miseria. Ancora più interessante è l’espressione greca: mamonà adikìas, dove adikia significa “senza giustizia” e dike è, propriamente parlando, la giustizia distributiva, cioé quella parte della giustizia che dà a tutti secondo la stessa misura.

Ma il denaro si sottrae per sua natura a questo tipo di giustizia: gli antichi lo sapevano bene… C’è infatti un altro tipo di giustizia, quella retributiva, che vede il merito e la colpa. Ed è grazie a questa giustizia che c’è il vero progresso sociale.

Gaetano Masciullo