La Dottrina Sociale della Chiesa e il Principio di Solidarietà

Riporto questo video che ho registrato per il videocorso offerto da Alleanza Cattolica tra il Novembre e il Dicembre 2021. Il tema presentato è stato il principio di solidarietà nella Dottrina Sociale della Chiesa. Buona visione! Di seguito trovate anche il testo della mia lezione.

Introduzione

La dottrina sociale della Chiesa (d’ora innanzi: DSC) pone a proprio fondamento due principii complementari. Questi due principii sono il principio di sussidiarietà e il principio di solidarietà. Essi sono complementari perché, se il principio di sussidiarietà si occupa della “dimensione negativa” della libertà – cioè si pone a garanzia della difesa sia della persona come individuo sia dei diritti che da essa scaturiscono dai rischi che emergono dall’esercizio del potere -, il principio di solidarietà si occupa della “dimensione positiva” della libertà – cioè intende stabilire quali siano i doveri e le mansioni della res publica, della “cosa pubblica”, cioè del potere politico.

Secondo quanto leggiamo nel compendio della DSC, la solidarietà conferisce particolare risalto a tre aspetti antropologici: l’intrinseca socialità della persona umana, l’uguaglianza di tutti in dignità e diritti, il comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità.

La socialità umana

Come scriveva già Aristotele, l’uomo è un animale politico – zoon politikòn – e lo è in virtù del suo tratto distintivo, ossia della sua razionalità. Questo significa che la socialità umana è qualcosa di più rispetto alla socialità del lupo, dell’ape, di tutti quegli animali che vivono in gruppi, degli animali gregari, che tuttavia non sono animali politici, nel senso aristotelico, proprio perché non hanno la ragione. E in cosa si istanzia questa differenza tra l’essere gregario e l’essere politico? Dalla percezione della giustizia. Da qui i due altri aspetti della nota fornitaci dal Compendio della DSC: l’uguaglianza di tutti in dignità e diritti e il comune cammino di tutti verso una più convinta unità. Ovviamente questi temi vanno rettamente spiegati e compresi, soprattutto perché negli ultimi secoli sono nate e diffuse ideologie politiche che sembrano predicare cose simili, ma che in realtà si oppongono.

L’uguaglianza

È sbagliato predicare l’uguaglianza assoluta degli esseri umani. L’uguaglianza sussiste nella dignità e questa dignità sorge, per il cristiano, dal fatto che siamo immagine di Dio. Ma sussiste anche nei diritti, anche se non in tutti i diritti. Ci sono dei diritti fondamentali – il diritto alla vita, il diritto alla ricerca della verità, il diritto al lavoro, il diritto alla proprietà, il diritto a fondare una famiglia – che sono condivisi da tutti gli uomini, a prescindere dalla razza, dall’età, dalla religione, dal sesso, etc. Ma ci sono altri diritti e, soprattutto, doveri che creano disuguaglianza, nel senso più bello del termine, nel senso di pluralismo, che è la ricchezza di qualunque società. Il principio di solidarietà, che è l’oggetto della presente analisi, si sofferma però su ciò che abbiamo in comune.

L’umanità unita

Quando si parla invece di cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità, questo non significa un’unità politica, sotto uno stesso Stato o cose del genere. L’unità è un’unità di intenzioni, si tratta cioè di ciò che la tradizione teologica chiama concordia. La retta interpretazione di questa unità è forse ben rappresentata nell’allegoria ed effetti del buon governo, affrescata da Ambrogio Lorenzetti a Siena nel XIV secolo. Qui la concordia è raffigurata da una donna che livella, accompagnata da numerose figure, vestite ciascuna in modo differente, ma tutte alla stessa altezza. L’immagine è molto forte: pur nelle diversità di estrazione, di interessi, di ruoli, i membri di una società sono diretti verso lo stesso fine, hanno una comune veduta: questa è l’unità della concordia. L’avvento del digitale aumenta la percezione e la possibilità, almeno tecnica, di una maggiore interdipendenza tra le persone. Questo porta con sé numerosi benefici, ma anche rischi: primo tra tutti, l’illusione di essere connessi realmente, oltre che virtualmente. Il digitale è un mezzo per essere interconnessi, ma non è la stessa connessione.

La solidarietà è una virtù

La solidarietà viene poi definita come una virtù, «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (193). Si trova nella dimensione della virtù cardinale della giustizia, che è appunto una virtù sociale. Anzi, se vogliamo, è una riformulazione con linguaggio moderno della definizione classica della virtù della giustizia: «La giustizia è la costante e perpetua volontà che dà a ciascuno il suo diritto» (Digesta, I, tit. 1, 10). La giustizia è dunque una virtù, l’abito di una facoltà umana ben precisa: non dell’intelletto o delle passioni, come accade per altre virtù, ma un abito della volontà.

Cosa significa questo? Una cosa fondamentale: che nessuno può essere obbligato a compiere azioni giuste, ma tutti vanno educati a compiere azioni giuste. La modernità, storicamente intesa, è fortemente segnata dall’idea di coercizione. La prospettiva della DSC e della dottrina cattolica in genere è diversa. C’è una frase molto bella di sant’Agostino che dice: «Non con asprezza, a mio giudizio, non con durezza, non con modi imperiosi si eliminano simili cose, ma più ammaestrando che comandando, più ammonendo che minacciando – magis docendo quam iubendo, magis monendo quam minando. Così, infatti, bisogna agire con una moltitudine di peccatori; invece, la severità va usata per i peccati di pochi» (Agostino, Ep. 22, 1, 5; PL 33, 9218-23). Noi siamo immagine di Dio perché ci distinguiamo dagli animali non razionali anche in virtù della volontà, che è libera. Se una persona è costretta da un ente esterno, come lo Stato, a compiere ciò che è giusto, questa persona non commette, propriamente parlando, un’azione giusta, perché va contro la definizione stessa di giustizia, di solidarietà che abbiamo or ora visto. L’abito è un principio interno, non esterno, dell’azione.

La solidarietà nella Chiesa

Complementare a questa dimensione individuale della solidarietà, c’è una dimensione più prettamente sociale, che rende questo principio come il principio ordinatore delle istituzioni, non soltanto politiche, ma sociali in senso lato: anche la Chiesa, per esempio, che è una società, sebbene di origine soprannaturale, è mossa dal principio di solidarietà. Bisogna porre questo principio alla base affinché – si legge nel compendio – le “strutture di peccato”, che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, possano essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, tramite la creazione o l’opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti, etc. Le strutture di peccato sono le conseguenze sociali del peccato individuale. Se più individui condividono un peccato e lo giustificano, essi creano nella società un’impalcatura, una struttura di peccato, un vizio che non è più solo individuale, ma in un certo senso collettivo. Il vizio è l’opposto della virtù: è l’abito, l’abitudine, quindi il principio interno dell’azione, a compiere il male, anziché il bene.

Esistono pertanto stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. Ovviamente, la DSC pone come modello di solidarietà il proprio fondatore, che è Gesù Cristo. Proprio perché anche la Chiesa è una società, anzi è la prima delle società, anche nella Chiesa c’è, deve esserci, la solidarietà. Certamente la solidarietà tra Dio e l’uomo non può venire meno, quella tra uomo e uomo – purtroppo – sì. «In Lui, e grazie a Lui, – si legge nel Compendio – anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione» (196). La sfida cristiana della carità si estende davvero a tutti gli uomini, non solo a coloro che appartengono alla stessa comunità, alla stessa Chiesa, alla stessa nazione, ma anche a coloro che non ci rientrano ed anzi, molto probabilmente si oppongono apertamente. L’amore verso il nemico – che non comporta remissività o debolezza d’animo – è un elemento importante della solidarietà, cui bisogna educare le giovani generazioni.

La solidarietà verso le nuove generazioni

Interessante, a proposito di giovani generazioni, notare come la DSC in fondo ha sempre indicato ciò che il mondo contemporaneo ha quasi improvvisamente scoperto sotto il nome di sostenibilità, ossia tutte quelle teorie e progetti che tentano di rispondere alla domanda: cosa fare per rendere il mondo in cui viviamo sostenibile, cioè mantenuto a un livello tale da poter essere preservato nella sua utilità anche per le generazioni successive? «Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l’umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell’agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono» (195).

Solidarietà e Stato

È evidente che il principio di solidarietà richiama più volte il concetto di Stato, argomento in verità assai delicato, che in effetti è stato affrontato più volte nel Magistero pontificio, sin dall’epoca di Leone XIII, cui tradizionalmente si fa risalire, per così dire, la genesi della DSC. Dedico dunque quest’ultimo paragrafo a una rapida rassegna dei testi pontificî ove si affronta il principio di solidarietà in relazione alla “cosa pubblica”, ossia alla vita politica, che nella modernità ha assunto la forma specifica dello Stato.

Il primo documento miliare in tal senso è la lettera enciclica di Leone XIII del 1881, Diuturnum illud, nel quale il Pontefice affronta il tema della natura del tema politico. Egli scrive che la sovranità – ossia il potere politico – affonda le proprie radici in Dio, anziché negli uomini (sia esso il soggetto, il popolo, la classe, etc.), come invece volevano le varie correnti filosofiche. L’uomo è per natura portato a vivere in società e da questa pulsione naturale sorge il bisogno di prendersi cura l’uno dell’altro. Allo stesso tempo, il Papa prendeva le distanze dalle teorie del “contratto sociale” (molto in voga in ambito filosofico: si pensi a Hobbes, Rousseau, etc.), in quanto riducono la comunità politica a semplice convenzione umana.

Su questi stessi temi, Leone XIII ritornerà più tardi, nel 1885, con la lettera enciclica Immortale Dei, dove affronta anche il tema della costituzione cristiana degli Stati. Anche qui il Papa rigettava la visione ‘democratista’ dell’origine dell’autorità: «lo Stato non sarebbe nient’altro – ribatteva Leone XIII – che la moltitudine arbitra e guida di se stessa […] poiché si afferma che il popolo contiene in se stesso la sorgente di ogni diritto e di ogni potere».

Anche il Papa Pio XII inizia il proprio pontificato con un’enciclica dedicata alla natura della politica, strettamente connessa al tema della solidarietà. Nell’enciclica del 1939, Summi Pontificatus, il Papa ribadiva che «la sovranità civile è stata voluta dal Creatore» per «controllare, aiutare e ordinare» le attività individuali presenti all’interno della vita nazionale.

Un tema della DSC strettamente connesso al principio di solidarietà è quello cui si fa comunemente riferimento con l’espressione “destinazione universale dei beni”. Si tratta di un argomento in realtà tanto profondo quanto compresso da comprendere e che spesso ha dato adito a incomprensioni. Secondo quanto leggiamo nel Compendio della DSC, «il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all’uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo» (n. 172). Esso è «un diritto naturale, inscritto nella natura dell’uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica […], prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa» (n. 172).

Secondo quanto leggiamo nel documento In questi ultimi decenni, emanato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica del 1988, «con questo “principio tipico della dottrina sociale della chiesa” si afferma che i beni della terra sono destinati all’uso di tutti gli uomini per soddisfare il loro diritto alla vita in modo consono alla dignità della persona e alle esigenze della famiglia» (n. 42).

Questo principio va compreso in stretta connessione al principio della intangibilità e irriformabilità della proprietà privata, che è di diritto naturale, come ribadito – tra gli altri – da san Giovanni XXIII: «il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi ha valore permanente, appunto perché è diritto naturale fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società» (Mater et magistra, n. 330); e ancora: «scaturisce pure dalla natura dell’uomo il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi: diritto che costituisce un mezzo idoneo all’affermazione della persona umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi, un elemento di consistenza e di serenità per la vita familiare e di pacifico e ordinato sviluppo nella convivenza» (Pacem in terris, n. 553). 

Molto interessante è il magistero di san Giovanni Paolo II sul legame tra principio di solidarietà e Stato contemporaneo. In quello che forse è il documento più importante che sia stato mai scritto sul tema qui affrontato, ossia la Sollicitudo rei socialis del 1987, il Papa scrive che «la solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. È possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo (cfr. Gv 13,35)» (n. 40a).

Nella Centesimus annus, pubblicata nel 1991, soffermandosi sui «rapporti tra lo Stato ed i cittadini», papa Wojtyla affrontava il tema dei doveri e dei limiti dei poteri pubblici. Egli scriveva chiaramente che «lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all’autonomia delle parti» (n. 15e). Allo stesso tempo, il Papa indica come erronea la tendenza assistenzialistica degli Stati moderni, considerandola come una degenerazione dello Stato sociale: «si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento [quello dello Stato, N.d.R.], che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo “Stato del benessere”» (n. 48d) e pertanto «non sono mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come “Stato assistenziale”. Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. […] Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese» (n. 48d – 48e).

Bibliografia

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