La proprietà privata è stata abolita. Non ve ne siete accorti?

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Domenico Vincenzo Venezia, Scene dal Libro dell’Apocalisse – La bestia che viene dalla terra (Apocalisse 13, 11-18).



In Italia, la proprietà privata non esiste. Ma quanti se ne sono accorti? L’assurda e immorale gestione politica della pandemia degli ultimi due anni, in nome di una “emergenza infinita”, come ha giustamente titolato l’amico Michele Gelardi su L’Opinione, ha dimostrato che l’obiettivo plurisecolare del socialismo è stato in realtà raggiunto: l’abolizione della proprietà privata, la quale invece è diritto naturale di ogni individuo e diritto fondante di ogni società civile, perché permette il foedus, “il contratto”.

Un individuo è proprietario di qualcosa quando egli può disporne liberamente, ossia tramite l’uso e il consumo oppure anche esercitando il diritto a non voler essere più proprietario, cedendolo in qualunque forma egli desideri, ossia tramite donazione, vendita o abbandono.

Ma gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che nessuno in Italia è proprietario di qualcosa in tal senso. Lo Stato – termine che indica semplicemente la classe di coloro che compongono l’alta burocrazia politica – permette la proprietà privata nei limiti in cui queste serve a produrre per il suo stesso mantenimento.

Quando più lo desidera, lo Stato può sospendere questa concessione in nome di ciò che esso chiama eccezione o emergenza e non importa quanto tu possa essere ricco: non puoi vendere nè comprare se non rientri nella volontà suprema di Leviatano.

Mi viene in mente una frase dell’Apocalisse di San Giovanni apostolo. Tutta la Scrittura, in fondo, ci mette in guardia e ci invita calorosamente ad amare la vera libertà, quella che nasce dall’amore per la verità e dal timore di Dio, anziché dal timore degli uomini, un timore falso e mondano, che spinge i singoli a cercare la sicurezza e a rifiutare e svendere la libertà e la responsabilità.

La Bestia descritta nell’Apocalisse altro non è che l’incarnazione del potere politico mondano, all’epoca rappresentato dall’Impero romano (un vero e proprio Stato nel senso moderno), ma adattabile in ogni epoca storica, a ogni contesto sociale che preferisce mettere da parte Cristo e il diritto naturale, per mettere sul trono l’uomo e il diritto positivo. In questo senso, la Bestia dell’Apocalisse è l’archetipo di quel mostro che è lo Stato.

[La Bestia] faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.

Apocalisse 13, 16-17.

Abbiamo visto proprio di recente come il nome sia fondamentale per il linguaggio biblico e, più in generale, per il modo di pensare dell’essere umano. Il nome denota la vocazione di qualcuno.

Ma lo Stato non è una persona, è un “potere spersonalizzato”, sebbene gestito da singoli in carne ed ossa come noi. E il famigerato “numero della Bestia” altro non rappresenta, simbolicamente, che l’esaltazione dell’uomo e delle sue ambizioni più basse. Per questo il numero indicato è una successione di tre sei (6-6-6), che biblicamente è proprio il numero del peccato, del limite.

Riprendiamo allora consapevolezza di cosa sia il diritto naturale, di quanto la proprietà sia un diritto fondamentale e non permettiamo a nessuno di sottrarcela in nome di quella Bestia che è lo Stato moderno. Una politica non statalista è possibile.

Gaetano Masciullo