Hic est Liber. San Tommaso d’Aquino raccomanda e spiega la Bibbia

Traduzione di Gaetano Masciullo del sermone di san Tommaso d’Aquino “Hic est Liber”. Trovi QUI il testo latino originale.

Elogio della Sacra Scrittura

Secondo quanto scrive Sant’Agostino nel libro IV sulla Dottrina cristiana, l’erudito degno di tal nome deve parlare per insegnare, per dilettare, per piegare: insegnare agli ignari, dilettare gli annoiati, piegare i lenti. Il discorso della Sacra Scrittura corrisponde in maniera completissima a questi tre requisiti.

Essa insegna infatti fermamente con la sua eterna verità: la tua parola, Signore, permane in eterno (Salmi 119,89). Essa diletta soavemente con la sua utilità: che dolci sono i tuoi discorsi per la mia bocca (Salmi 119,103). Essa piega efficacemente con la sua autorità: forse che le mie parole non sono come il fuoco, dice il Signore? (Geremia 23,29)

E pertanto la Sacra Scrittura nella parola che propone è consegnata da tre cose: primo, dall’autorità che piega, quando dice: questo è il libro dei comandamenti di Dio (Baruc 4,1). Secondo, dall’eterna verità che istruisce, quando dice: e la legge dura in eterno (Baruc 4,1). Terzo, dall’utilità che dà sollievo, quando dice: chiunque la osserva perviene alla vita (Baruc 4,1).

Inoltre, l’autorità di questa Scrittura si mostra efficace per tre aspetti. Primo, per l’origine; perché la sua origine è Dio. Per cui dice: comandamenti di Dio; egli ha trovato tutte le vie della disciplina (Baruc 3,37); annunziata prima dal Signore, è stata in noi confermata da quelli che l’avevano udita (Ebrei 2,3).

A un simile autore bisogna credere infallibilmente, sia in virtù della condizione della sua natura, perché essa è la verità: io sono via, verità e vita (Giovanni 14,6); sia in virtù della pienezza della scienza: o profondità della ricchezza della sapienza e della scienza di Dio (Romani 11,33); sia in virtù della potenza delle parole: la parola di Dio è viva ed efficace, più tagliente di una spada a due tagli (Ebrei 4,12).

Secondo, si dimostra efficace per la necessità che essa impone: chiunque non crederà sarà condannato (Marco 16,16). Da ciò segue che la verità della Sacra Scrittura è proposta secondo la forma del precetto; perciò dice: dei comandamenti di Dio. Questi ordini dirigono l’intelletto attraverso la Fede: crediate in Dio e credete in me (Giovanni 14,1); formano l’affetto mediante l’amore: questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi (Giovanni 15,12); inducono all’azione e all’esecuzione: fa’ ciò, e vivrai (Luca 10, 28).

Terzo, si dimostra efficace per l’uniformità delle cose dette, perché tutti coloro che hanno tramandato la sacra dottrina hanno insegnato la stessa cosa: sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto (1Corinzi 15,11). E ciò è necessario affinché tutti abbiano un solo maestro: uno è il vostro maestro (Matteo 23,10); abbiano un solo spirito: non abbiamo forse camminato con lo stesso spirito? (2Corinzi 12,18); un solo sentimento: la moltitudine dei credenti era un’anima sola e un solo cuore in Dio (Atti 4). E allo stesso modo, per indicare l’uniformità della dottrina si dice singolarmente: questo è il libro.

La verità della dottrina di questa Scrittura è immutabile ed eterna. Perciò segue: la legge permane in eterno. E ancora: il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Luca 21).

Inoltre, questa legge permane in eterno per tre ragioni. Primo, a causa della potestà del legislatore: il Dio degli eserciti ha decretato, e chi lo potrà annullare? (Isaia 14) Secondo, a causa della sua immutabilità: io sono Dio e non muto (Malachia 3); il Signore non è come un uomo che mentisca, né come figlio d’uomo che muti (Numeri 23). Terzo, a causa della verità della legge: tutti i tuoi comandamenti sono verità (Salmi); le labbra di verità saranno confermate in eterno (Proverbi 12); la verità rimane e vale in eterno (Esdra 4).

Anche l’utilità di questa Scrittura è massima: io sono il Signore tuo Dio che ti insegna cose utili (Isaia 48). Perciò segue: tutti coloro che la seguono, giungono alla vita; la quale vita è triplice.

Primo, c’è la vita della grazia, alla quale la Sacra Scrittura dispone: le parole che io vi ho detto sono per voi spirito e vita (Giovanni 6). Attraverso questo tipo di vita, infatti, lo spirito umano vive presso Dio: non sono io che vivo, ma Cristo vive in me (Galati 2). Secondo, c’è la vita della giustizia che consiste nelle opere, alla quale la Sacra Scrittura dirige: non dimenticherò in eterno le tue giustificazioni, perché in esse mi hai vivificato (Salmi). Terzo, c’è la vita della gloria che la Sacra Scrittura promette e alla quale conduce: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Giovanni 6); ciò è stato scritto affinché crediate, e credendo abbiate la vita nel suo nome (Giovanni 20).

Parti della Sacra Scrittura

A questa vita, poi, la Sacra Scrittura conduce in due modi, cioè tramite i precetti e tramite il sostegno.

Tramite i precetti per gli ordini che riporta, cosa che riguarda l’Antico Testamento: Mosè ci ha comandato la legge (Siracide 24).

Tramite il sostegno, invece, per il dono di grazia che il legislatore ha elargito, cosa che riguarda il Nuovo Testamento: la legge è stata data attraverso Mosè, la grazia e la verità è stata fatta per mezzo di Gesù Cristo (Giovanni 1).

Perciò tutta la Sacra Scrittura è principalmente divisa in due parti, cioè in Antico e Nuovo Testamento, ciò cui si riferisce Matteo 13: ogni Scriba edotto nel regno dei Cieli è simile a uno che preleva dal proprio scrigno cose nuove e cose antiche. E altrove: ho conservato per te tutti i frutti, nuovi e antichi, mio amato (Cantico 7).

Dunque l’Antico Testamento si suddivide secondo la dottrina dei comandamenti, e infatti il comandamento divino è duplice, cioè obbligante e ammonitivo.

Obbligante è il mandato del re, che ha il potere di punire i trasgressori: come ruggito del leone, tale è anche il terrore del re (Proverbi 20). Ma ammonitivo è il precetto del padre che deve erudire: ti sono figli? Istruiscili (Siracide 7).

Il precetto del re è invece duplice, cioè uno è quello che stabilisce la legge; altro è quello che induce all’osservanza della legge stabilita, che è solito promulgare attraverso i propri banditori e messaggeri. E così si distinguono tre precetti, cioè quello del re, quello del banditore e quello del padre.

E secondo questi tre precetti, l’Antico Testamento si suddivide in tre parti, secondo quanto san Girolamo scrive nel prologo del libro dei Re.

La prima parte è contenuta nella Legge, che è come il precetto proposto dallo stesso re: il Signore nostro re, il Signore nostro legislatore (Isaia 33).

La seconda parte è contenuta nei profeti, che furono come messaggeri e banditori di Dio che parlavano al popolo al posto di Dio e inducevano all’osservanza della legge: Aggeo ha parlato dei messaggi del Signore (Aggeo 1).

La terza parte è contenuta negli Agiografi, che ispirati dallo Spirito Santo parlarono tuttavia non da parte del Signore, ma come da se stessi. Perciò sono detti Agiografi, cioè come scrittori sacri, oppure come scrittori di cose sacre, da agios che significa sacro e graphia che significa Scrittura: e così i precetti contenuti in essi sono come paterni. Ciò è evidente in Proverbi 6: figlio mio, custodisci i precetti di tuo padre, ecc.

Tuttavia, san Girolamo pone un quarto ordine di libri, cioè gli apocrifi: e sono detti apocrifi da apo, che significa certamente, e cryphon, che significa oscuro, perché si dubita o delle loro sentenze o dei loro autori. Però la Chiesa cattolica recepisce questi libri nel numero delle Scritture sante, dei quali perciò non si dubita circa le sentenze, ma solo circa gli autori. Non che non si conoscano gli autori di quei libri, quanto piuttosto che quegli uomini non ebbero fama di essere autorità. Perciò essi non hanno la forza dell’autorità dai propri autori, ma piuttosto dalla ricezione della Chiesa.

Poiché tuttavia si osserva lo stesso modo di parlare sia negli apocrifi sia negli Agiografi, per questo motivo insieme a questi essi sono stati computati fino al presente.

Allora la prima parte, che contiene la Legge, è suddivisa in due parti, secondo che la Legge è duplice, cioè pubblica e privata.

La legge privata è quella la cui osservanza è imposta a una persona o a una famiglia. E tale legge è contenuta nella Genesi, com’è evidente nel precetto dato al primo uomo: non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 2,17); e a Noè: non mangerai carne con il sangue (Genesi 9,4); e ad Abramo: custodirai il mio patto, e il tuo seme dopo di te per tutte le generazioni (Genesi 17,9).

Invece la legge pubblica è quella trasmessa al popolo. Infatti, la legge divina è trasmessa al popolo dei Giudei attraverso un mediatore, perché il popolo non era idoneo a essere preparato immediatamente da Dio, perciò si legge: io fui rappresentante e mediatore tra voi e il Signore (Deuteronomio 5). La Legge è ordinata attraverso gli Angeli per mezzo di un mediatore (Galati 3). E pertanto nella legislazione si considera un duplice grado.

Il primo grado è quello per cui la Legge perviene dal Signore al mediatore, e ciò riguarda tre libri, cioè Esodo, Levitico e Numeri. Perciò si legge frequentemente in quei libri: Dio parlò a Mosè. Il secondo grado è quello per cui la Legge è esposta al popolo per mezzo del mediatore, e ciò riguarda il Deuteronomio, com’è evidente da ciò che si dice all’inizio di questo libro: Mosè parlò, ecc.

Inoltre, i tre libri citati prima si distinguono secondo tre cose cui conviene ordinare il popolo: primo, nei precetti quanto all’equità del giudizio, e ciò accade nell’Esodo; secondo, nei sacramenti, quanto a ciò che riguarda l’esibizione del culto, e ciò accade in Levitico; terzo, nei doveri, quanto a ciò che riguarda l’amministrazione della cosa pubblica, e ciò accade nel libro dei Numeri.

La seconda parte, invece, che è quella dei profeti, è suddivisa in due parti, secondo ciò che il messaggero deve fare due cose.

Egli deve infatti esporre il beneficio del re affinché gli uomini siano inclinati a obbedire; e deve proporre l’editto della legge.

Il beneficio divino è esposto dal profeta al popolo in tre gradi. Primo, per il raggiungimento dell’eredità, e ciò in Giosuè, del quale si dice: Giosuè forte in guerra (Siracide 46). Secondo, per la distruzione dei nemici, e ciò nel libro dei Giudici, del quale si dice nei Salmi: faccia loro come ha fatto a Madian e a Sisara. Terzo, per l’esaltazione del popolo, che è duplice, cioè privata per ogni persona, e ciò in Ruth; e pubblica, che è di tutto il popolo, fino a giungere alla dignità regale, e ciò nel libro dei Re, per il cui beneficio Dio rimprovera: ti sei fatto ornamenti con veemenza (Ezechiele 16).

Infatti questi libri sono posti, secondo san Girolamo, nell’ordine dei profeti. Invece negli altri libri che sono detti comunemente dei profeti, i profeti hanno posto gli editti divini per l’osservanza della legge.

E ciò è detto per primo in comune, cioè nei profeti maggiori che furono inviati a tutto il popolo e inducevano all’osservanza di tutta la legge; secondo, verso settori particolari, cioè nei profeti minori, che furono inviati a persone differenti e speciali, come Osea alle dieci tribù, Gioele agli anziani di Israele, Giona a Ninive, e così vale per gli altri.

I profeti maggiori inoltre sono suddivisi secondo i metodi con cui indussero il popolo all’osservanza della Legge, cioè allettando con le promesse dei benefici; spaventando con la minaccia delle pene; incolpando con la deplorazione dei peccatori.

Per quanto questi tre metodi si riscontrino nei singoli profeti, tuttavia Isaia principalmente alletta, del quale si dice: ha consolato in Sion coloro che erano nel pianto (Siracide 48); Geremia invece minaccia, perciò diceva: cerca apposta di far cadere le braccia ai combattenti (Geremia 38); ma Ezechiele accusa e deplora: tuo padre è Amorreo e tua madre Cetea (Ezechiele 16).

Si può tuttavia suddividere altrimenti, in quanto si dice che Isaia preannuncia principalmente il mistero dell’Incarnazione, perciò nella Chiesa è letto durante il tempo di Avvento; Geremia invece il mistero della Passione, perciò è letto durante il tempo di Passione; Ezechiele il mistero della Resurrezione, perciò il suo libro termina con la resurrezione dei morti e la riparazione del tempio; Daniele invece, per il fatto che è contato tra i profeti perché ha predetto le cose future con spirito profetico, per quanto non parlasse al popolo per conto del Signore, tratta della divinità del Cristo, e perciò i quattro profeti corrispondono ai quattro evangelisti, o anche alla difesa in giudizio.

La terza parte, invece, che contiene gli Agiografi e i libri apocrifi, è suddivisa in due parti, perché in due modi i padri istruiscono i figli alla virtù, cioè con le parole e con i fatti; perché gli esempi non valgono meno delle parole nelle questioni morali. Alcuni libri pertanto istruiscono solo con i fatti; altri solo con le parole; altri ancora con le parole e i fatti.

Con i fatti in due modi. Il primo modo è istruendo alla cautela circa le cose future, e ciò avviene in Giosuè, che san Girolamo pone tra gli Agiografi. Per quanto infatti il profeta sia tale per il dono della profezia, non per l’ufficio; perché egli non fu inviato dal Signore affinché profetasse al popolo. Perciò quello che si dice nel libro della Sapienza può essere inteso come se si riferisse a lui: conosce segni e prodigi prima che avvengano (Sapienza 8).

L’altro modo è narrando gli eventi passati per dare esempio di virtù. Le virtù principali sono quattro, cioè giustizia, che è il bene comune, il cui esempio è posto nelle Cronache, dove la condizione di tutto il popolo è descritta in quanto governata dalla giustizia.

La seconda virtù è la temperanza, il cui esempio è posto in Giuditta, perciò san Girolamo scrive: considerate la vedova Giuditta come esempio di castità. Hai agito virilmente perché hai amato la castità (Giuditta 15,11).

La terza virtù è la fortezza, cui competono due cose, cioè aggredire, e quanto a ciò è posto l’esempio nel libro dei Maccabei; e sopportare, e quanto a ciò è posto l’esempio in Tobia: questa tentazione permise il Signore che gli sopravvenisse, perché i posteri avessero l’esempio della sua pazienza (Tobia 2,12).

La quarta virtù è la prudenza, al quale compete opporsi alle insidie, e quanto a ciò è posto l’esempio in Esdra. Infatti, in quel libro è mostrato in che modo Esdra e Neemia e altri principi furono attenti alle insidie dei nemici che volevano impedire l’edificazione del tempio e della città. È proprio della prudenza anche respingere perspicacemente le violenze; e quanto a ciò il suo esempio è dato nel libro di Ester: dove si dimostra in che modo Mardocheo ed Ester impedirono la frode del potentissimo Aman.

Inoltre i libri degli Agiografi e quelli apocrifi, che istruiscono soltanto con le parole, sono distinti da che la parola opera all’istruzione in due modi: un modo, chiedendo il dono della sapienza: ho scelto e mi è stato dato il sentimento, ho invocato ed è venuto in me lo Spirito di sapienza (Sapienza 7). E all’istruzione opera il Salterio, secondo il modo della preghiera che si rivolge a Dio.

Secondo modo, insegnando la sapienza, e questo avviene in altri due modi, perché duplice è l’opera del sapiente; una cosa è poter rendere manifesti coloro che mentono, e quanto a ciò c’è il libro di Giobbe, che nel modo disputativo rimuove gli errori: desidero disputare con Dio mostrando prima che siete fabbricatori di menzogna e cultori di falsi dogmi (Giobbe 13,3-4).

L’altra sua opera è quella di non mentire sulle cose che conosce; e così siamo istruiti in due modi: perché o ci viene raccomandata la sapienza, e ciò avviene nel libro della Sapienza; o ci vengono proposti i precetti della sapienza, e ciò avviene nei tre libri di Salomone: i quali sono da distinguere secondo i tre gradi delle virtù indicati da Plotino; perciò i precetti non devono riferirsi ad altro se non ad atti di virtù.

In primo grado, secondo lui, ci sono le virtù politiche, con le quali l’uomo usa moderatamente le cose mondane e conversa tra gli uomini; e questo riguarda il libro dei Proverbi.

In secondo grado, ci sono le virtù purganti, con le quali l’uomo allontana se stesso dalle cose del mondo attraverso il disprezzo; e questo riguarda il Qoelet, che è ordinato al disprezzo del mondo, com’è evidente nel prologo scritto da san Girolamo.

In terzo grado, ci sono le virtù dell’animo purificato, con le quali l’uomo, avendo disprezzato radicalmente le preoccupazioni mondane, si diletta nella sola contemplazione della sapienza; e questo riguarda il Cantico dei cantici.

Inoltre, nel quarto grado, ci sono le virtù esemplari che esistono in Dio, circa le quali i precetti della sapienza non sono dati, ma piuttosto sono derivati da quelle. Il Siracide pertanto istruisce sia con le parole sia con i fatti, da cui seguono i precetti della sapienza che quegli propose, e termina il proprio libro con la lode dei padri, com’è evidente dal capitolo 45 e seguenti.

Invece il Nuovo Testamento, ordinato alla vita eterna, non solo tramite i precetti, ma per i doni della grazia, è suddiviso in tre parti.

Nella prima parte si tratta dell’origine della grazia, e ciò avviene nei Vangeli. Nella seconda parte si tratta della potenza della grazia, e ciò nelle lettere di Paolo; perciò in principio dice: la potenza di Dio di dare salvezza a ogni credente (Romani 1,16). Nella terza parte si tratta dell’esecuzione di tale virtù, e ciò avviene nei restanti libri del Nuovo Testamento.

Infatti l’origine della grazia è Cristo: dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia, perché la Legge ci fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità fu fatta per mezzo di Gesù Cristo (Giovanni 1).

In Cristo, poi, c’è da considerare una duplice natura: divina, e di questa tratta principalmente il Vangelo di Giovanni, che perciò inizia: in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo (Giovanni 1); e umana, e di questa trattano principalmente gli altri evangelisti, che sono distinti secondo le tre dignità che gli uomini attribuiscono al Cristo.

Infatti, quanto alla sua dignità regale abbiamo Matteo; perciò in principio del suo Vangelo egli dimostra che Cristo discende dai re secondo la carne e fu adorato dai re magi.

Ma quanto alla dignità profetica abbiamo Marco; perciò il suo Vangelo inizia dalla predicazione. Quanto invece alla dignità sacerdotale abbiamo Luca; perciò il suo Vangelo inizia nel tempio e dal sacerdotio e finisce nel tempio, e frequentemente i suoi episodi si svolgono nel tempio, come dice anche la Glossa a commento del versetto: lo trovarono nel tempio seduto in mezzo ai dottori.

Si può dire altrimenti che Matteo parla di Cristo principalmente per mostrare il mistero dell’Incarnazione: e questo è il motivo per cui questo evangelista è raffigurato dall’immagine di un uomo; Luca quanto al mistero della Passione: e questo è il motivo per cui è raffigurato dall’immagine di un toro, che è l’animale sacrificale; Marco invece quanto alla vittoria della Resurrezione: e questo è il motivo per cui è raffigurato dall’immagine di un leone; Giovanni, inoltre, che vola fino alle altezze della divinità, è raffigurato da un’aquila.

Poi lo svolgimento della virtù di grazia viene mostrato nello sviluppo della Chiesa, in cui bisogna considerare tre cose. Primo, l’inizio della Chiesa; ed esso viene mostrato negli Atti degli apostoli. Perciò san Girolamo dice: gli Atti degli apostoli intendono tessere la nuda storia e l’infanzia della Chiesa nascente. Secondo, il progresso della Chiesa; e a ciò è ordinata l’istruzione apostolica nelle lettere canoniche. Terzo, il fine della Chiesa; con il quale l’Apocalisse conclude il contenuto di tutta la Sacra Scrittura, finché la sua sposa – la Chiesa – non parteciperà alla vita di gloria nel talamo nuziale di Gesù Cristo e alla quale ci conduce lo stesso Cristo Gesù: sia egli benedetto nei secoli dei secoli. Amen.