Generazioni e Rivoluzioni

Un aspetto molto interessante che gli storici cattolici della Rivoluzione dovrebbero approfondire è quello di generazione, intendendo con questo termine la classe sociale delle persone nate in un certo periodo temporale (solitamente un periodo lungo 25 anni), e che vede accomunati i suoi membri secondo certe tendenze. Un bravo storico, in effetti, dovrebbe imparare a leggere la storia secondo il ciclo delle generazioni. Se ci pensiamo, questa è la metodologia storica che la stessa Scrittura ci suggerisce, allorquando essa ragiona sempre in termini di generazioni, e mai in termini di classi economiche, religiose o politiche. Questo aspetto è molto interessante per la ricerca, sia quella storica sia quella filosofica, che riguarda la Rivoluzione, e inevitabilmente la Contro-Rivoluzione.

Si pensi ad esempio alla frase enigmatica che leggiamo in Esodo fuoriuscire dalla bocca di Dio: “Io sono il Signore Dio tuo forte e geloso, che visito l’iniquità dei padri sopra i figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano” (Es 20, 5). Come potrebbe ora Dio visitare l’iniquità di qualcuno fino alla quarta generazione? Questo versetto è stato nei secoli interpretato nei modi più variegati, e ultimamente in senso decisamente inaccettabile per un cattolico, ossia che sia semplicemente un’influenza teologica dei popoli cananei circostanti Israele, che vedevano i mali personali come conseguenze e castighi per le colpe dei propri avi. Questa falsa esegesi circolava anche tra gli ebrei del tempo di Cristo: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” (Gv 9, 2).

Il senso più profondo di queste parole (non dimentichiamolo mai: parole rivelate) emerge in tutta la sua chiarezza se comprendiamo che la storia è composta anzitutto di cicli generazionali. Ogni generazione si forma in un periodo di 25 anni circa, ed ogni ciclo è composto pertanto di quattro generazioni, cioè circa un secolo, tanto quanto dura mediamente la vita di un essere umano (non solo oggi, ma anche in passato): parafrasando san Paolo, potremmo dire che l’uomo è lo stesso ieri, oggi e sempre.

Ho avuto questa intuizione nel corso di vari studi (l’ultimo quello pubblicato ne La tiara e la loggia), ma solo pochi giorni fa sono rimasto entusiasta dinanzi alla scoperta, fatta grazie al mio amico statunitense George, che due storici – William Strauss e Neil Howe – hanno elaborato e pubblicato nel già lontano 1997 una teoria molto simile, pur partendo da prospettive totalmente laiche e accademiche. Ritengo che questi due autori siano degni di attenzione da parte degli storici cattolici, avendo sempre in mente il monito paolino: “esaminate tutto, trattenete il bene” (1Ts 5, 21).

Strauss e Howe bene descrivono, a mio avviso, la natura di questi cicli generazionali, che loro chiamano con l’espressione latina saeculum e che dura tra i 75 e gli 85 anni, e raramente raggiunge i 90 anni: “I giorni della nostra vita, messi insieme, arrivano a settant’anni; e, nei più robusti, a ottanta: il di più è affanno e dolore: viene la debolezza e siamo portati via” (Sal 89, 10).

Questi cicli non sono fissi e ripetitivi come lo possono essere fenomeni naturali quali i cicli astronomici, ma godono di un certo margine di variabilità: bella è la metafora che essi adottano degli organismi biologici, che crescono e mutano in maniera talvolta imprevedibile, o ancora più bella e opportuna è la metafora delle stagioni. Le quattro stagioni si susseguono continuamente una dietro l’altra in maniera ciclica, ma mai in maniera identica: gli inverni, per esempio, possono essere più o meno lunghi e più o meno freddi di quelli precedenti, però la natura di fondo di ciascuno di essi permane: un tempo di morte e distruzione, che anticipa la primavera, tempo di rigenerazione. L’uomo non può sapere come sarà l’inverno che viene. Egli può solo sapere con certezza che arriverà, e che può prepararsi al meglio per affrontarlo. La storia è stagionale: sappiamo che arriveranno tutte le stagioni, in sequenza, e possiamo prepararci per affrontarle al meglio, proprio perché – a differenza delle stagioni naturali – le stagioni della storia sono le generazioni umane e, comprendendo come esse funzionano, possiamo orientarle nel bene o nel male.

Questa teoria, sviluppata da Strauss e Howe, va da noi associata a quello che sappiamo della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione, e della contrapposizione ultima che caratterizza la storia umana, come ci insegna sant’Agostino, e cioè in primo luogo che la storia è l’incontro di due somme libertà – quella divina e quella umana – e in secondo luogo che è lo scontro tra la Città di Dio e la Città dell’uomo, tra la Chiesa e il mondo, ma, in senso ancora più profondo e vero, tra la Fede e la Gnosi. Tutta la storia con i suoi eventi e le sue istituzioni può essere ridotta a questa ultima contrapposizione, come potremmo apprendere da un altro grande storico, da “filtrare” nelle nostre giuste categorie, ossia Eric Voegelin.

La metafora delle stagioni è davvero molto utile per capire bene la stagionalità della storia. Primavera, estate, autunno e inverno corrispondono in natura a fasi di rigenerazione, maturazione, entropia e morte. Anche le quattro generazioni che costituiscono un saeculum corrispondono a queste quattro fasi. Questa idea deve spaventarci, in quanto cattolici? Deve farci sposare un atteggiamento fatalistico? La storia è destinata a essere una successione di rinascite e fallimenti spirituali? Non è questa la giusta interpretazione. La morte, dovremmo saperlo, non è un male, ma un bene: si pensi a san Francesco d’Assisi, che la chiamava “sorella morte”. Certo essa è giunta nel mondo con il peccato, ma è giunta per mano di Dio, affinché purifichi l’uomo costantemente: per questo si chiama “castigo”, perché rende casti, puri.

Dunque, è un bene che la storia sia stagionale, ed è provvidenziale. Certo, come si diceva, la storia è l’incontro di due libertà, l’umana e la divina, e quindi anche l’uomo ha molta responsabilità in essa. “Io ho piantato, – scrive san Paolo in una sua lettera – Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere” (1Co 3, 6). Così è per la storia: la semina e l’irrigazione dipendono da noi, ma lo sviluppo è totalmente nella volontà di Dio. Ogni inverno storico è un occasione per riformare o rivoluzionare il mondo. La Riforma serve a purificare e rimuovere gli elementi obsoleti e le istituzioni sociali ormai inutili, che con il tempo possono essere dannose per la Chiesa, e dare vita a istituzioni nuove e più funzionali per le nuove generazioni e le nuove scoperte tecniche, scientifiche, culturali in genere. La Rivoluzione, invece, che si spaccia sempre per Riforma, ma non lo è, serve a cambiare non solo le istituzioni, ma la mentalità. Durante i cicli storici rivoluzionari, la pianta della Fede non viene potata, ma sradicata, e al suo posto viene trapiantato un albero di Gnosi, maledetto e pestifero. L’Albero della Vita viene trapiantato e sostituito con l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Ormai da più di cinquecento anni nell’orto della Storia si coltiva l’Albero sbagliato, l’Albero maligno, ma l’Albero della Vita non è morto e i suoi giardinieri non sono scomparsi: possiamo ancora avviare una bonifica, una Contro-Rivoluzione, ma per farlo è necessario capire come funziona la Storia.

Un altro aspetto interessante della metafora stagionale della Storia riguarda il rapporto tra caldo e freddo. Durante la storia, a livello sociale, è inevitabile che si presentino ciclicamente periodi di coesione sociale a periodi di atomizzazione sociale. Anche questo non è necessariamente un male, né dopotutto un bene: è un aspetto neutro della storia. La coesione sociale potrebbe degenerare fino al collettivismo estremo, così come un’estate può risultare particolarmente torrida, oppure risultare in un’armoniosa concordia valoriale, un’estate mite e piacevole. L’atomizzazione potrebbe degenerare in un individualismo egotico e nel relativismo etico, così come l’inverno potrebbe essere particolarmente rigido, oppure in un sano individualismo che esalta la propria libertà, un inverno mite che si prepara alla rigenerazione primaverile.

Questa di seguito è allora, in sintesi, la teoria. Si può osservare che ogni ciclo generazionale è composto di quattro generazioni che rispecchiano le stesse tendenze. Le generazioni passano dall’una all’altra in un periodo di circa 25 anni, perché tale è l’età media di riproduzione dell’uomo, anche se negli ultimi decenni quest’età media in Occidente si è alzata.

Il passaggio tra una generazione e l’altra è segnato da un evento particolare, una svolta generazionale, spesso un evento bellico, ma può essere anche filosofico o tecnologico di grandissima portata. Le principali svolte sono ovviamente quattro per ogni ciclo, e seguono sempre lo stesso schema: (1) una svolta ottimista, che segue sempre una crisi, caratterizzata da una forte coesione sociale e valoriale; (2) una svolta dubbiosa, che porta a mettere in dubbio lo stile di vita precedente, in maniera più o meno parziale o addirittura totale (questa può assumere un aspetto rivoluzionario); (3) una svolta entropica, dove gli individui vedono con positività l’atomismo sociale che caratterizza l’epoca in cui maturano, e come un’occasione per forgiare una società nuova; (4) una svolta critica, spesso rappresentata da guerre o rivoluzioni, che porta alla dissoluzione del modo vecchio di concepire il mondo. Così il ciclo ricomincia. Questo per quanto riguarda le svolte, cioè gli eventi che danno il via alle generazioni. Analizziamo ora gli archetipi delle generazioni in quanto tali.

La prima generazione, quella che apre il ciclo e che parte da una svolta ottimista, è una generazione idealista. Strauss e Howe parlano a proposito anche di generazione profetica. I membri di questa prima generazione entrano nell’infanzia e nell’adolescenza dopo una svolta ottimista della storia. Essi sono molto decisivi circa la visione del mondo tramandata alle generazioni successive, anche se questi – come vedremo – potrebbero avere moti di ribellione verso i propri padri. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, le fondamenta ideologiche gettate dai padri della prima generazione saranno decisive. In altre parole, le tre generazioni successive a quella profetica – volenti o nolenti – cresceranno all’ombra di quella.

Questi “profeti generazionali” crescono e diventano attivi fautori della svolta dubbiosa, elaborano una determinata visione del mondo durante la mezza età, e guidano una crisi quando si avvicinano alla fase senile della propria vita. Bisogna notare che non tutti i membri di questa generazione cruciale sono attivi fautori delle svolte che contraddistinguono il saeculum che essi inaugurano, ma solo una parte minoritaria di essi, che potremmo chiamare èlite: in tal senso, lo studio della Rivoluzione deve attingere allo studio di un altro pensatore a me molto caro e a mio avviso utilissimo cum grano salis, ossia Gaetano Mosca.

In tal senso si capisce che anche le idee sbagliate sono un germe malefico che si trasmette di padre in figlio, e da qui comprendiamo il senso pieno di quel versetto di Esodo, perché ogni idea maligna è un peccato dell’intelletto e, in quanto tale, la colpa viene trasmessa con l’insegnamento da padre in figlio.

La seconda generazione, che Strauss e Howe definiscono nomadica, entra nell’infanzia e nell’adolescenza durante una svolta dubbiosa, quando cioè i giovani adulti della generazione profetica attaccano l’ordine costituito. I membri di questa generazione tendono a crescere con un senso di alienazione sociale, cioè tendono a non sentirsi parte di nessun gruppo sociale in particolare, da qui la definizione di nomade. I loro genitori, appartenenti alla generazione profetica o – più verosimilmente – all’ultima generazione del ciclo precedente, tendono a sottostimare la loro formazione e protezione, sicuri che sarà la buona società a farlo al posto loro. Alcuni di loro diverranno leader molto pragmatici durante le crisi e, una volta entrati in una nuova era di ottimismo, si mostreranno come anziani capaci di adattarsi alle nuove esigenze sociali, adattabilità che la generazione profetica è stata incapace di dimostrare. Questa generazione è spesso segnata anche da una tendenza verso un relativismo etico.

La terza generazione, detta eroica, entra nell’infanzia e nell’adolescenza durante una svolta entropica. A differenza dei loro padri, i membri di questa generazione subiscono durante la crescita un eccessivo e talvolta morboso attaccamento e protezione, a causa dei movimenti culturali che hanno messo in dubbio l’ordine sociale e che hanno spaventato le generazioni più vecchie. Questi diventeranno leader influenti durante e dopo la successiva svolta ottimista, per poi essere rimessi in discussione durante la nuova svolta dubbiosa.

La quarta generazione, infine, detta artistica, è una generazione che gode di particolare capacità di adattamento. I membri di questa generazione entrano nell’infanzia o nell’adolescenza durante una crisi, e pertanto anche essi crescono sotto un’attenzione particolarmente morbosa dei genitori. Crescendo tendono ad assumere una mentalità conformista durante la fase successiva alla crisi, e così il ciclo ricomincia.

Interessante anche da sottolineare è che la prima e la terza generazione risultano più dominanti e influenti da un punto di vista culturale rispetto alla seconda e alla quarta generazione.

Ora proviamo a vedere questo schema applicato al saeculum in corso (o meglio, che è in procinto di concludersi). L’attuale ciclo generazionale è iniziato nel 1946, all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, l’ultima grande crisi che la storia ha conosciuto. L’ultimo grande inverno, e anche particolarmente rigido. Nel 1946 è stata avviata una svolta ottimista, il cosiddetto boom economico. I nati tra il 1946 e il 1964 (18 anni) sono infatti chiamati in sociologia baby boomer e appartengono alla prima generazione, quella profetica. La società in cui sono cresciuti appariva coesa e i valori erano incentrati sulla crescita economica, l’esaltazione dello Stato social-democratico, il Welfare, l’auto-realizzazione, il “posto fisso”, lo stipendio sicuro e alto, un carovita in discesa. Poca attenzione invece si dava ai valori tradizionali della religione e della famiglia, ritenuti ormai appartenenti alle generazioni passate. I boomer sono cresciuti in questo contesto.

Da giovani adulti i boomer hanno dato avvio al periodo del cosiddetto Sessantotto, che dal punto di vista della storia della Rivoluzione rappresenta la fase socio-morale della Rivoluzione. L’ordine costituito è stato messo in crisi, ma è interessante notare – e qui l’analisi di Strauss e Howe sembra non essere in grado di cogliere il punto – che in realtà la critica che i giovani boomer mossero contro i propri genitori e contro le generazioni precedenti fu una logica conseguenza di quello stesso mondo creato dalle generazioni precedenti, già di fatto rivoluzionarie. Il Sessantotto iniziò in realtà nel 1964, negli USA, con la rivolta di Berkeley, che segna pertanto l’evento della svolta dubbiosa.

I nati tra il 1965 e il 1980 (15 anni) appartengono alla generazione X. Hanno passato l’infanzia durante il Sessantotto e i suoi postumi. A livello quantitativo, la generazione X è risultata assai minoritaria rispetto ai boomer, perché i boomer – in nome della rivendicazione della libertà personale e del disprezzo verso la famiglia tradizionale e verso il patriarcato, oppure in nome della propria auto-affermazione professionale ed economica – hanno figliato poco, hanno causato un notevole calo demografico, dopo il boom causato invece dai loro genitori.

Molti membri della Gen X sono in realtà ancora per lo più figli della generazione precedente a quella dei boomer, la cosiddetta generazione silenziosa (nati 1928-1945). I loro genitori, non comprendendo ancora appieno le conseguenze del Sessantotto e vivendo ancora nei fumi entusiastici dell’immediato secondo dopoguerra, hanno affidato la cura e l’educazione dei Gen X alla società e alle sue istituzioni (scuola, cinema, ecc.). Come i boomer, i Gen X hanno ritardato l’età riproduttiva in favore di una presunta maggiore autodeterminazione; ma come moto di reazione ai boomer, i Gen X hanno anche sempre inseguito tentativi di giovanilismo per sentirsi più prossimi alle generazioni nuove che a quelle più vecchie.

I nati tra il 1981 e il 2001 (20 anni) appartengono alla generazione Y, detta anche dei Millenial, perché hanno vissuto la propria infanzia e la propria adolescenza a cavallo del nuovo millennio. Il 1980 è l’anno della svolta entropica, segnata in questo caso da un evento non di natura bellica o politica, bensì di natura tecnologica: il graduale avvento di Internet ha infatti rivoluzionato le vite dei più giovani in particolare, rappresentando per molti uno strumento innovativo su tutti i fronti, anche di affermazione personale e culturale. A differenza delle altre svolte, la svolta entropica ben difficilmente è segnata da un evento storico clamoroso, come una guerra, una rivoluzione, un’innovazione culturale stravolgente. Si tratta di un processo entropico, appunto, una fase destruens della storia, che applica concretamente i principi elaborati durante la fase dubbiosa. In effetti, i Millenial sono quelli che applicano (e continueranno ad applicare) in senso socio-politico la teoria gender e l’ideologia climatica, con tutte le sue conseguenze rivoluzionarie. Sono ideologie nate durante il Sessantotto, ma solo la Gen Y è in grado di trasformarle in prassi, proprio perché essa è la prima generazione a essere cresciuta in esse.

I nati tra il 2002 e il 2019 (17 anni) appartengono alla generazione Z, detta anche degli Zoomer. Da notare che, poiché questa classificazione sociologica è stata fatta alla fine degli anni Novanta, il confine tra Gen Y e Gen Z è sempre stata molto vaga. Solitamente si dice che la Gen Y va dal 1981 al 1996 e che la Gen Z va dal 1996 al 2012, ma questa classificazione si è dimostrata errata. Ritengo che i limiti temporali da me fissati siano invece quelli corretti, e più coerenti anche con la teoria di Strauss e Howe, sia perché è evidente che i nati prima del 2002 appartengono a una generazione diversa da quelli nati successivamente, sia perché il 2001 ha segnato in effetti una svolta critica, segnata dall’attentato alle Torri Gemelle, quindi dalla guerra al terrorismo che si è diffusa in Occidente e poi in tutto il mondo, e che ha dato avvio al periodo dell’emergenzialismo, culminato poi nel 2019 con l’improvvisa pandemia da Covid-19, disastrosa non tanto per il suo significato sanitario, quanto per quello sociale, politico e culturale. La Gen Z è una generazione che subisce gli effetti disastrosi delle precedenti, ma ha anche in sè un grande elemento di riscatto: non a caso, essa è la generazione che – secondo le statistiche – presenta maggiori rigurgiti di conservatorismo politico, in chiara reazione alle tendenze progressiste e rivoluzionarie della maggioranza sociale. Ogni generazione artistica è infatti una generazione con tendenze anticonformistiche.

Gaetano Masciullo