Perché Gesù indica tre gradi dell’ira?

Questo commento è stato pubblicato sul blog della Rettoria “Santa Toscana” in Verona.

San Giuseppe, modello di mansuetudine,
prega per noi Colui che ha detto
“imparate da me che sono mite e umile di cuore”

Sequéntia S. Evangélii secundum Matthaéum 5, 20-24.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Nisi abundáverit iustítia vestra plus quam scribárum et pharisaeórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dictum est antíquis: Non occídes:
qui autem occíderit, reus erit iudício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus
erit iudício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fátue: reus erit gehénnae ignis. Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre, et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.

Seguito del S. Vangelo secondo Matteo 5, 20-24.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, sarà condannato dal Sinedrio. E chi gli avrà detto: stolto; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta.

Un uomo è giusto quando dà al prossimo ciò che gli spetta. In questo brano del vangelo odierno, tuttavia, Gesù ci mette in guardia da un vizio capitale molto ricorrente, il quale, quando viene praticato, acceca la giustizia e non ci rende “più grandi degli scribi e dei farisei”, cioè degli ipocriti, di coloro che a parole dicono di essere buoni e insegnano cos’è la bontà, ma nelle opere si lasciano travolgere dalle passioni più infamanti.

Questo vizio di cui il Signore ci parla è l’ira. Anche san Paolo mette bene in guardia dal lasciarsi guidare dall’ira, perché è facile commettere ingiustizie quando si compiono azioni dettate da questo peccato: “Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasione al diavolo” (Efesini 4,26-27). La definizione paolina dell’ira è quindi molto forte: occasione per il diavolo!

San Tommaso d’Aquino, seguendo l’insegnamento dei Padri, commenta il brano odierno del vangelo secondo Matteo distinguendo tre gradi d’iracondia. L’iracondia è sempre un peccato mortale, se offende la carità di Dio o del prossimo, ma questa stessa gravità può assumere gradi, cioè livelli, diversi. Non tutti i peccati mortali, infatti, hanno la stessa gravità e non tutti i peccati gravi saranno puniti nell’inferno secondo la stessa intensità di pena.

Questi tre gradi rispecchiano anche l’ordine di generazione dell’iracondia, che dal pensiero arriva ai fatti. All’epoca di Gesù (ma in realtà ancora oggi), si credeva che solo quando ci si arrabbia tanto da danneggiare il prossimo si pecca contro Dio. Il Signore ci invita a rivedere con una mentalità nuova, divina e profonda, il rapporto con il peccato.

“In verità vi dico: chi si adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio”. Coltivare l’ira, cioè il desiderio di vendetta, contro qualcuno è già per se stesso un peccato grave, anche se non viene portato a compimento.

“Chi dirà al proprio fratello: raca, sarà sottoposto al sinedrio”. Il secondo grado dell’ira è già un passo successivo. La parola raca – che spesso in italiano viene tradotto con “scemo” o “imbecille” – andrebbe in realtà espresso più come una parolaccia, una volgarità per “mandare a quel paese” il prossimo. Il secondo grado dell’ira è quello dunque che si manifesta con esternazioni verbali o gestuali.

“Chi dirà al fratello: stolto, sarà sottoposto alla geenna”. Il terzo e ultimo grado dell’ira è infine quando si passa dalle esternazioni ai fatti. Ora i fatti possono coprire un gran ventaglio di possibilità, che va dall’offesa verbale all’offesa fisica, fino ad arrivare all’estremo caso dell’omicidio. Gesù condanna la possibilità minima – ossia l’offesa verbale – per condannare tutte le altre possibilità di azione iraconda, ben peggiori.

Gaetano Masciullo