“E se fosse una prova generale di qualcos’altro?”

Riporto qui l’estratto di una conversazione avuta quest’oggi a proposito della guerra in Ucraina con l’amico don Beniamino Di Martino, sacerdote cattolico, nonché importante studioso italiano del pensiero economico austriaco e rothbardiano e direttore di StoriaLibera, rivista di scienze storiche e sociali di cui io sono caporedattore.













In realtà, non intendo scrivere un articolo e mi mantengo nella forma più sintetica possibile. Ma una cosa ancora voglio precisare, perché se non l’ho espressa pubblicamente finora è perché mi sembrava banale. Mi aspettavo di ascoltarla ripetitivamente da tanti commentatori ed invece non si è affatto affacciata (almeno per quello che ho potuto sentir io).

Riguarda quello che tu, Gaetano, hai definito “osservatore silenzioso”.

Nel tuo intervento, parlavi di “inquietante silenzio della Cina comunista”. La Cina, poi, qualcosa ha dovuto dirla, ma quel poco che ha proferito è sufficiente per le nostre orecchie. Il colosso comunista si è dimostrato diplomaticamente solidale con la Russia (cfr. i precedenti accordi Russia – Cina), salvo poi dimostrarsi interessata a una (tardiva, tatticamente tardiva) de-escalation.

C’è da registrare che Russia e Cina coprono con dimostrazioni muscolari le debolezze “di complessiva tenuta” dei due sistemi (dittatoriale il primo, totalitario il secondo). Lo sostenevo in Libertà e coronavirus a proposito del vigore militare di Xi Jinping. In quelle pagine, scrivevo che il comunismo ha bisogno del terrore per sopravvivere e quanto più ne adotta tanto più dimostra di mancare di consenso (e di essere vicino al crollo).

Le prove di forza della Cina, perciò, mi sembrano più “colpi di coda” che “colpi di schiena”. Ripesco da Libertà e coronavirus:

Ritengo, quindi, che le repressioni e le violenze comuniste rappresentino un segnale di scricchiolamento, una prova di debolezza, il tentativo disperato di non lasciarsi sopraffare da un cambiamento oramai inevitabile, piuttosto che una dimostrazione di vigore e di vitalità; non una dimostrazione di salute, ma il sintomo della morte vicina; non un fiero colpo di schiena, ma un estremo colpo di coda (la cui durata, però, non è prevedibile).

(p. 326)

Ebbene, tutto questo per dire cosa? Per dire che la Cina potrebbe aver dato il suo placet all’invasione dell’Ucraina per poter capire a che tipo di reazione internazionale possa andare incontro con l’annessione di Taiwan (che non potrebbe avvenire se non per via militare) e alla repressione di Hong Kong (che dovrà intensificarsi sempre più).

Sarebbe ben strano se l’asse russo-cinese non comportasse un reciproco sostegno, dove ciascuno dei due Stati copre l’altro nel perseguimento dei rispettivi (iniqui) obiettivi.

Come dire: ciò che succede in Ucraina (con la mano di Mosca) è un anticipo di ciò che potrà succedere a Taiwan (con la mano di Pechino).

Morire per Danzica? Era questa la domanda cui gli europei à la Chamberlain ritenevano di dover rispondere negativamente, credendo ingiustificata una preventiva guerra contro Hitler. Anche io penso che all’invasione dell’Ucraina non si debba rispondere con la guerra.

Perché? In breve, perché il modo migliore per evitare le guerre tra gli Stati è la “guerra allo Stato”: per evitare che i governi abbiano tanto potere da scatenare guerre, occorre togliere loro il potere. Rimango un isolazionista perché ritengo che il miglior modo per salvaguardare la pace sia preservare il libero scambio (commercium et pax), ma ciò non impedisce l’analisi degli scenari, soprattutto quando questi ultimi sono determinati da aggressioni e da mire ideologicamente fondate.

E l’analisi dello scenario di queste ore potrebbe portare a supporre che dalla reazione internazionale a seguito dell’invasione dell’Ucraina si comprenderà se e quando potrà avvenire qualcosa di molto simile a Taiwan.

Beniamino Di Martino