Se lo Stato causa l’antivaccinismo

La casa editrice veronese Fede & Cultura ha appena pubblicato la prima traduzione italiana di un vero e proprio libro bestseller negli Stati Uniti d’America: Vaccinazioni – una prospettiva cattolica, ad opera della biologa e ricercatrice per i vaccini Pamela Acker.

La studiosa è soltanto una delle tante voci alternative provenienti dal mondo della scienza, che appaiono minoritarie a causa di una ben orchestrata strategia mediatica che dà voce prevalente solo a una parte del dibattito. A questa infodemia – come qualcuno l’ha chiamata, altrettanto grave quanto la pandemia, se non più grave, visto il potere che essa esercita sulle menti – bisogna aggiungere la retorica della “espertocrazia”, la nuova faccia dello scientismo tecnocratico tipico degli Stati moderni. Il professore Carlo Lottieri aveva già analizzato e denunciato brillantemente questa nuova forma di ideologia statalista in un articolo pubblicato su Il Corriere del Ticino, il 13 ottobre 2020, poi rivisto e ampliato in una versione pubblicata sul sito dell’Istituto Liberale (vedi qui). Gli Stati da sempre usano la tecnologia a proprio vantaggio e cercano di monopolizzare le ricerche scientifiche, per assicurarsi che nulla di quanto scoperto possa scalfire il potere. Gli “esperti” infatti sono quei particolari uomini di scienza che, applicando la logica socialista alla comunità scientifica, finiscono per incarnare il “collettivo scientifico”.

Quante volte in questi mesi abbiamo sentito dire che «la comunità scientifica è unanime» nell’affermare quella o quest’altra cosa? È facile trovare l’unanimità in un gruppo, quando tutte le voci contrarie sono bandite dallo stesso o ridicolizzate pubblicamente, come si è fatto con tutti i medici e gli infermieri che hanno rifiutato l’obbligo vaccinale o hanno avanzato dubbi sull’opportunità di certe politiche: prima rimossi dal contatto con il paziente, poi sospesi dal lavoro o addirittura dall’Ordine (il quale – non dimentichiamolo – è anzitutto un organo statale).

L’espertocrazia e il bombardamento mediatico hanno una pressione tale da rovesciare persino la logica. Quante volte virologi e giornalisti ci hanno ripetuto in questi lunghi mesi che i non vaccinati sono un pericolo per la società perché impediscono ai vaccinati di poter riprendere una vita sana e “normale”? Eppure, prima della pandemia, chiunque si recava in Africa e faceva il vaccino contro le malattie infettive endemiche non si preoccupava certo che tutti gli africani fossero altrettanto vaccinati: logica voleva che un vaccino efficace fosse sufficiente a proteggere l’individuo da eventuali contatti con persone infette. Adesso, a quanto pare, la logica vuole qualcosa di totalmente opposto.

Dopo l’introduzione del “super greenpass”, la polemica circa la liceità da parte dello Stato (o addirittura il “dovere”, come hanno avuto il coraggio di dire recentemente taluni individui) di introdurre un obbligo vaccinale più diffuso continua a infuriare. Molti cedono al ricatto e si fanno vaccinare, pur essendo poco convinti, perché la preoccupazione di portare a casa il pane ai propri figli è comprensibilmente più grande della volontà di opporsi per principio a una politica immorale. Ciononostante, il numero di persone cosiddette “no-vax” continua a esserci e a preoccupare la classe politico-medica.

È particolare che, in tutta questa polemica, quasi nessuno abbia saputo fornire la risposta corretta alla seguente domanda: perché il numero dei cosiddetti “no-vax” (per usare un termine giornalistico che io odio profondamente) è stabile e forse anche in lenta ma continua crescita? A cosa è dovuto questo fenomeno? La risposta, ancora una volta, è sempre la stessa: l’esistenza della coercizione statale. L’essere umano nasce con il libero arbitrio ed è originariamente proprietario dell’intelletto, del corpo e di certi beni esterni. Questo principio filosofico di diritto naturale non può e non deve essere negato da nessun ideologo o sofista politicante: non bisogna permetterlo. Quando un potere esterno, soprattutto se un potere spersonalizzato come lo Stato, pretende di imporre determinate scelte, è inevitabile suscitare reazioni di disobbedienza, sfiducia e in molti casi anche di “complottismo”. Come si può pretendere di imporre azioni invasive a un numero così elevato di individui, quale quello della popolazione mondiale, senza suscitare in una buona porzione di questi sospetti e dietrologie di varia natura circa le vere intenzioni dei politici (a prescindere se tali sospetti siano fondati oppure no)?

E pensare che la soluzione sarebbe così semplice: la soluzione autenticamente liberale, che si fonda sul diritto di proprietà. Il corpo è la prima delle proprietà. La libertà di ogni uomo non finisce dove inizia la libertà altrui (sofismo senza senso che ci ripetono in continuazione), ma dove inizia la proprietà altrui. In un regime autenticamente liberale, ogni individuo, ogni azienda, ogni istituto giuridico avrebbe scelto liberamente se vaccinarsi o meno e, a sua volta, se discriminare dalle proprie relazioni economiche i non vaccinati (o, al contrario, i vaccinati).

La casa editrice cattolica veronese Fede & Cultura, in questo contesto, merita un encomio particolare. Nonostante le pressioni sociali e i tentativi continui di demonizzazione verso i pensieri alternativi, ha avuto il coraggio di pubblicare un libro altrimenti improponibile in un contesto come quello italiano. Ancor prima che un’opera scientifica, Vaccinazionidi Pamela Acker è un’opera di bioetica. Ci siamo infatti dimenticati che i vaccini sono la nuova frontiera della bioetica, dopo l’aborto, il suicidio assistito (che sta tornando molto in voga come argomento) e altro.

Acker mette in evidenza almeno tre punti etici fondamentali che hanno a che fare con i vaccini. Il primo è il rispetto della volontà individuale: «Ogni intervento medico preventivo, diagnostico o terapeutico, deve essere realizzato con il previo libero e informato consenso della persona interessata, basato su un’adeguata informazione» (p. 9). Il secondo riguarda un aspetto più tecnico: se sia lecito per un cattolico farsi vaccinare, sapendo che i vaccini più moderni sono stati prodotti utilizzando cellule di feti abortiti volontariamente (infatti, i feti devono essere ancora vivi al momento del prelievo). Come sottolinea l’autrice, «è unicamente l’accettazione e l’uso dei vaccini provenienti da feti abortiti che alimenta il mercato indotto dal loro utilizzo continuato in campo medico e contribuisce a giustificare l’espansione dell’uso di linee di cellule fetali abortite» (p. 123). Il terzo punto riguarda la trasparenza del dibattito. A fronte di chi auspica una popolazione mondiale vaccinata per il bene di tutti, ci sono molte persone (di scienza e non) che portano evidenze contrarie, ma che non ricevono la giusta attenzione da parte della cosiddetta “comunità scientifica” e sono ridotte a semplici esperienze aneddotiche. Quando sentiamo dire che «non ci sono dimostrazioni scientifiche» a favore di una determinata tesi, dobbiamo infatti sempre ricordare che questa affermazione può significare due cose: uno, che la scienza ha effettivamente dimostrato che la tesi è falsa; due, che la scienza non ha sufficientemente studiato il fenomeno tanto da confermare o confutare la tesi. Purtroppo, il nostro caso rientra nella seconda situazione.

Gaetano Masciullo