L’Opinione: Putin e la guerra all’Occidente

Ringrazio Michele Gelardi per aver pubblicato questa recensione di Marca di confine sul sito de L’Opinione delle Libertà.

In tempi cupi di “pensiero unico” conforta poter leggere qualche rara e preziosa pagina di ragionevolezza e spirito critico. È uscito in questi giorni alle stampe – editore Monolateral – il libro “Marca di confine”, che raccoglie due saggi sulla guerra in Ucraina (il toponimo slavo “Ucraina” richiama il confine ed evoca qualcosa di assai simile al significato della parola “marca”). Gaetano Masciullo fa luce sulle premesse ideali e ideologiche dell’imperialismo russo, Beniamino Di Martino esamina le dinamiche politiche del conflitto e le ricadute al di fuori del teatro delle operazioni belliche.

Il primo ravvisa nel “rossobrunismo” di Aleksandr Dugin il complesso dei principi ispiratori, che alimentano la suggestione della grande Russia. Si tratta, per dirla con l’Autore, di un compromesso hegeliano tra il comunismo “rosso” e il nazionalismo “bruno”. L’Occidente, nella visione di Aleksandr Gel’evic Dugin rappresenta la “forma essenziale del titanismo” e della hybris contro la volontà divina. In sostanza, il socialismo sui generis di Dugin ha una forte componente religiosa, che si potrebbe definire neopagana, sebbene il filosofo ne occulti i caratteri nel coacervo indistinto dell’identità “cristiana” del popolo russo. Storicamente il Cristianesimo ha rappresentato la forza dirompente che ha liberato l’uomo dal timore degli dei pagani. Il mito di Icaro che viene punito dagli dei dell’Olimpo per la sua hybris, per aver osato troppo, è rappresentativo di un universo etico e normativo che impone a ogni persona l’omologazione alla tipologia vigente nella comunità sociale. Dagli dei dell’Olimpo, invidiosi dei successi umani, è ben diverso il Dio cristiano che, facendosi uomo, innalza ogni persona individuale, depositaria di uguale dignità, alla libertà di fare, sperimentare e osare. Sicché la presunta “identità cristiana”, alla quale fa riferimento il pensiero “rossobruno”, che alimenta il miraggio imperiale del “putinismo”, si basa su un equivoco di fondo, che oscura l’apporto storico del Cristianesimo alla libertà individuale, in Occidente come in Oriente, fa regredire lo spirito religioso all’idolatria pagana e lo riduce a presupposto giustificativo del programma politico “panrusso”.

Nella visione di Dugin, lo spirito etnico (logos) è un’entità reale, sussistente per sé e in sé, indipendentemente dagli individui che compongono l’etnia; gli uomini sono emanazioni del logos e ne sono sovrastati. Il modello “unipolare” dell’Occidente, la globalizzazione, il libero mercato rappresentano l’annichilimento dell’identità spirituale del popolo. Da queste premesse, si arriva alla conclusione che i popoli euroasiatici, costituiti in imperi, devono contrastare la deriva occidentale e difendere l’identità nazionale, fondata sulla spiritualità e sulla religione. Mutatis mutandis, mi pare che il “rossobrunismo” putiniano non sia molto dissimile dal nazionalsocialismo hitleriano e la sua difesa del logos russo dall’accerchiamento occidentale non si discosti molto dallo “spazio vitale” invocato dal fuhrer.

Il secondo saggio evidenzia, per altra via, le fragili basi ideali dell’imperialismo di Putin, giammai giustificabile, neppure in astratto e meno che mai nelle sue concrete modalità aggressive di oggi. L’aggressore è, senza ombra di dubbio, la Russia; l’aggredito è l’Ucraina; non si possono mettere sullo stesso piano le colpe e le responsabilità. Ciò posto, Beniamino Di Martino non tace gli imperdonabili errori della Nato e dell’Occidente, che hanno creato i presupposti per la sindrome putiniana dell’isolamento e dell’accerchiamento. Ad avviso dell’Autore, l’allargamento della Nato ad Est, vissuto dalla Russia come “accerchiamento” e insidia alla sicurezza dei propri confini, è frutto di una “cecità, appartenuta agli europei e agli americani”. Qualche perplessità destano pure le circostanze della fuga in Russia del presidente Viktor Janukovic, legittimamente eletto. In ogni caso, l’errore più grande dell’Occidente è stato quello di non cogliere le opportunità di un’evoluzione in senso liberale e democratico dell’ordinamento russo, dopo la caduta dell’Impero sovietico. Basti pensare che, in occasione delle prime elezioni democratiche, divenne sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobchak, docente universitario di Putin e suo mentore, deciso sostenitore del libero mercato. Nel suo programma, ricorda Di Martino, si leggeva a chiare lettere: “Il solo compito del Governo deve essere quello di creare le condizioni grazie alle quali ognuno possa dare libero sfogo alla propria iniziativa e intraprendenza; il resto spetta ai singoli”. Non fu colta nemmeno la grande occasione, frutto dell’iniziativa diplomatica di Silvio Berlusconi, delle rilevanti “aperture” all’Occidente, consacrate nel summit a Pratica di Mare. In ultima analisi, il grande errore dell’Occidente si riassume nella persistente diffidenza che ha impedito l’instaurarsi di durevoli relazioni, franche e fiduciarie.

Ma deve essere chiaro, secondo l’Autore, che l’Occidente non coincide con l’“Occidente”. Il primo è l’orizzonte di riferimento ideale e storico delle conquiste di libertà, fondate sul pluralismo e sulla tolleranza del dissenso, sulla pacifica convivenza sociale e sulla coesistenza dei popoli e delle nazioni sovrane. Il secondo, ossia l’“Occidente” con le virgolette, è la negazione del primo, giacché nasce dallo smarrimento delle sue radici. La dittatura del “politicamente corretto” contraddice pluralismo e tolleranza e cioè i fondamenti stessi dell’Occidente; l’oblio delle radici cristiane della nostra civiltà depaupera il nostro presente e restringe il nostro futuro, perché rinnega il nostro passato; l’orizzonte meramente “econometrico” dell’individuo e della società sottrae slancio vitale alla nostra esistenza; la “protezione” onnipresente e onnipotente dello Stato restringe il benessere della persona alla “sicurezza” materiale, alla quale tutto viene sacrificato, per modo che la vita diventa mera sopravvivenza (con tagliando trimestrale di “vaccino”); in mancanza di riferimenti ideali, tutto si riduce al “visibile”, ma in fondo tutta la sommatoria del visibile e quantificabile (in termini economici) si dimostra poi poca cosa. E la guerra in Ucraina diventa un nuovo, paradossale spartiacque: i nuovi “eroi” da divano, che simpatizzano per il globalismo, “ecologico” e “multiculturale”, deprivato di identità storica e culturale, ieri erano filosovietici, oggi si scoprono ferventi “occidentalisti” e invocano la “resistenza” a oltranza, anche a costo di migliaia di morti; i confusi nostalgici delle patrie nazionali guardano a Putin con malcelata simpatia. I primi, in verità, amano l’“Occidente”, ma non l’Occidente; i secondi non si avvedono che l’imperialismo russo è comunque figlio dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.

Non ci arruoliamo tra i primi e nemmeno tra i secondi.  Come ammonisce Beniamino Di Martino, la reductio dell’Occidente all’“Occidente” non può essere contrastata dal male peggiore. Le seduzioni della guerra putiniana contro l’universo “globale” senza anima e senza religione, in nome di un malinteso spirito religioso, presunto cristiano, ma in realtà neopagano, sono ingannevoli. La vera alternativa all’“Occidente” non è l’Oriente “rossobruno”, con i suoi imperialismi dispotici, ma è l’Occidente stesso. Lo sanno bene gli autentici liberali, i quali ravvisano nella conservazione della nostra identità storica l’insostituibile quadro di riferimento della nostra libertà.

Michele Gelardi

(*) Gaetano Masciullo-Beniamino Di Martino, “Marca di confine. La Guerra d’Ucraina tra Russia, Nato e Cina”, Monolateral86 pagine7 euro