La visione dimenticata di Huxley: il connubio tra statalismo e consumismo

Il 28 settembre 2021,  è stato pubblicato su L’Opinione delle Libertà un mio articolo a commento del pensiero dello scrittore britannico Aldous Leonard Huxley [1894-1963] e del connubio tra statalismo e consumismo, così come si evince dal suo più noto romanzo, Brave New World.

L'Opinione delle Libertà

Qui potete trovare il collegamento all’articolo

La visione dimenticata di Huxley: il connubio tra statalismo e consumismo
Aldous Leonard Huxley

Quando si deve pensare allo scenario distopico per eccellenza, viene subito in mente il celebre romanzo del 1948 di George Orwell (1903-1950), 1984, dove il celebre scrittore britannico delinea un ipotetico mondo futuro spartito tra tre super-Stati, totalitari e oppressivi.

Non si tratta solo di un’opera di fantasia, ma di un vero e proprio saggio di filosofia politica, recentemente analizzato e compendiato dal filosofo francese Michel Onfray nel brillante saggio Teoria della dittatura, edito da Ponte alle Grazie nel 2020.

Tuttavia, c’è un altro grande classico del genere letterario distopico, forse meno noto, ma non per questo meno interessante, anzi per certi versi più acuto. Quando si dice ‘dittatura’, è facile pensare a privazione delle libertà individuali attraverso un uso coatto del potere militare, delle leggi che impongono divieti e obblighi dinanzi allo Stato, dei tribunali e dei mezzi di comunicazione.

Il romanzo di Aldous Huxley (1894-1963), Brave New World, ci offre però una prospettiva diversa e ci ricorda che il totalitarismo – cioè la pretesa dello Stato di curare e modellare l’individuo totalmente – può prendere forme diverse e più subdole, persino travestirsi da progresso.

A un’analisi superficiale, l’assenza di libertà del mondo distopico di Huxley appare causata da un capitalismo sfrenato e oppressivo. Ma questa analisi è – appunto – superficiale, dettata dai pregiudizi ideologici dei nostri tempi.

Nella distopia di Huxley, l’assenza di libertà è causata dal consumismo, che è cosa ben diversa. Huxley ci dimostra uno Stato super-industrializzato che adora Ford come il nuovo messia e redentore. Il controllo si esercita qui attraverso una larghissima concessione e promozione da parte del governo a soddisfare le proprie pulsioni sessuali, i propri desideri e capricci (spacciati per diritti), esaltando il piacere come sinonimo di felicità.

Consumismo ed edonismo ne Il Mondo Nuovo di Huxley vanno a braccetto, tanto che la tecnica al servizio della Confederazione mondiale ha “riscattato” la sessualità umana dal fine riproduttivo, avendo trovato il modo di riprodurre gli esseri umani in maniera extrauterina, e la legge ha messo al bando la riproduzione per naturale concorso sessuale. Eugenetica e riproduzione sistematica in vitro danno anche la possibilità allo Stato di dare alla luce individui secondo le proprie aspettative.

La forza fisica e le capacità di intellettuali di ognuno vengono progettate dai burocrati di regime, come se fossero prodotti di industria. Al condizionamento prenatale, ovviamente, si accoda il condizionamento post-natale, dove i bambini sono “condizionati” dallo Stato (il termine “educato” viene così sostituito) per obbedire ciecamente e per eseguire ciò che viene loro assegnato, senza neanche poter sospettare lontanamente che, forse, qualcosa non torna.

Lo scenario huxleyano è quindi molto più inquietante di quello orwelliano, che appare al confronto come uno scenario dittatoriale “scontato”, da copione. Huxley ci interpella su una domanda fondamentale: che cos’è la libertà? Basta soddisfare senza freni i propri desideri carnali per essere liberi? Mi sembra molto interessante, tra l’altro, sottolineare che questa tentazione della tecnica è così presente in epoca contemporanea che addirittura all’interno del mondo cattolico ci sono stati pensatori che hanno auspicato la liberazione della sessualità dall’aspetto riproduttivo e dai tabù morali.

Uno dei più grandi teologi modernisti del secolo scorso, il gesuita Teilhard de Chardin, si augurava proprio questo e, contemporaneamente, sosteneva una struttura sociale fortemente autoritaria e liberticida, di stampo marxista, in nome della “unità totale degli uomini”. E infatti anche il motto dell’Utopia di Huxley è “Comunità, identità, stabilità”.

Si diceva del legame tra consumismo e statalismo: è questo l’aspetto più importante e più attuale di tutto il romanzo distopico. Oggi si tende a credere che una società capitalistica sia anche una società consumistica, a causa dell’ingenuo ragionamento secondo cui, se in una società capitalistica si dà più attenzione alla ricchezza, allora si dà anche maggiore risalto all’acquisto e allo status symbol che da questo deriva. In realtà, la società capitalistica è più legata a un’etica del risparmio. In una società statalista, al contrario, gli individui, piuttosto che investire in beni durevoli che potrebbero essere tassati o espropriati dai potenti in qualsiasi momento, preferiscono dare priorità ai consumi.

Per usare la terminologia del filosofo Novak, in una società di tipo statalista, le persone orientano le proprie scelte sulla base di una “preferenza temporale” molto alta, che si realizza negli acquisti di beni consumabili, anziché una “preferenza temporale” bassa, che si realizza negli investimenti e nei risparmi, tipici dell’uomo con mentalità capitalistica.

Gaetano Masciullo