Come può Cristo essere realmente nel pane consacrato?

Questo commento è stato pubblicato sul blog della Rettoria Santa Toscana in Verona.

Eucarestia, un pane per crescere in accoglienza e prossimità

Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem 6, 56-59.
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudaeórum: Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem, et bibit meum sánguinem, in me manet, et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter
me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui mandúcat hunc panem, vivet in aetérnum.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 6, 56-59.
In quel tempo, Gesù disse alle turbe dei giudei: “La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, vive in me e io in lui. Come è vivo il Padre che mi ha mandato e io vivo del Padre, così chi mangia la mia carne vive di me. Questo è il pane che discende dal Cielo. Non come i vostri padri che mangiarono la manna e sono morti. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

La festa del Corpus Domini – Corpo del Signore – fu istituita da papa Urbano IV nel 1264, in seguito al celebre miracolo eucaristico di Bolsena. La festa riporta le nostre menti a quella sera della Settimana Santa, a quel Giovedì in cui Cristo istituì all’unisono i Sacramenti del Sacerdozio e dell’Eucarestia, poiché non è concepibile l’uno senza l’altro. L’Eucarestia è il fine supremo del sacerdote e, con lui, di tutto il popolo di Dio.

Il fine della solennità odierna dunque è quello di ricordare ai fedeli che Gesù Cristo è realmente presente nell’Eucarestia, cioè nel pane e nel vino consacrati, con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua Divinità. Non crediamo che il pane sia la sola carne e che il vino sia il solo sangue (come volevano gli eretici hussiti), ma che in ogni minimo frammento di pane e nella più minuscola goccia di vino ci sia Cristo tutto intero.

Il vangelo di oggi è importante perché san Giovanni scrisse questo testo per confutare gli eretici, già abbondanti tra i cristiani pochi anni dopo la morte di Gesù, i quali negavano la natura divina di Cristo. E’ interessante notare che le chiese protestanti, le quali, pur riconoscendo la natura divina di Cristo, negano il Sacramento dell’Eucarestia e quindi la presenza reale di Cristo nelle specie consacrate, usano il metodo letterale per approcciarsi all’esegesi della Scrittura, tranne in quei punti in cui la stessa Bibbia dà inevitabilmente ragione alla Chiesa cattolica. In quei casi, i teologi protestanti ripiegano sul senso allegorico.

Ma il brano di vangelo odierno sembra non voler lasciare spazio a dubbi. L’avverbio che l’evangelista Giovanni utilizza non è ambiguo: “la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda”. Come a voler dire: qui non c’è nessuna allegoria. Ma come può Cristo essere presente davvero in un pezzo di pane o in un calice di vino? Qualche provocatore, in maniera stolta, ha detto che, se l’Eucarestia è davvero il corpo di Cristo, allora i cattolici sono cannibali.

Questa affermazione è in realtà un sofismo. E la ragione è presto detta.

Bisogna capire cosa si intende quando si parla di presenza reale di Cristo eucaristico. Il pane, anche dopo la consacrazione, rimane pane sia sotto l’aspetto della quantità sia sotto l’aspetto della qualità. Si dice in teologia che rimangono gli accidenti del pane. Infatti, vediamo che la quantità dell’ostia non è la quantità del corpo di Cristo. Lo stesso discorso vale per le qualità: per esempio, il sapore dolce è una qualità del pane, che rimane dopo la consacrazione; l’avere i capelli lunghi era una qualità di Gesù, che ovviamente l’ostia non assume. Il cannibale è colui che si ciba di carne umana che è tale nella sostanza e in ogni suo accidente. Il corpo del cattolico invece si ciba di pane e di vino, anche quando assume le specie consacrate. E il suo organismo reagisce come reagirebbe all’ingestione di pane e vino non consacrati.

Cosa c’è dunque di Cristo nell’ostia consacrata, dietro i veli degli accidenti del pane e del vino? La risposta è semplice da dire, ma un po’ più difficile da comprendere: la sostanza. Di essa non si nutre il nostro corpo, ma la nostra anima immortale. E certamente, poiché l’anima è superiore al corpo ed è anzi chiamata a dominarlo, chi riceve degnamente (si legga: in stato di grazia) l’Eucarestia benefica anche il corpo.

La sostanza dell’essere umano non è la sua sola carne o la sua sola anima, ma l’unione di tutte e due. In Gesù Cristo questo è vero, ma non basta. La natura umana – già duplice – è unita intimamente alla natura divina, cosicché il Figlio è una sola Persona con due nature, distinte eppure unite. E questo tutt’uno, che è il Figlio divino, è presente nella sostanza nell’Eucarestia, non secondo il luogo o secondo gli accidenti corporei.

Si parla pertanto di transustanziazione eucaristica: transustanziazione, cioè “passaggio di sostanza”. Il pane ha una sua sostanza, prodotta dalla lavorazione umana del frumento, ma quella sostanza – fatta di una certa materia e di una certa forma – cede il passo a una sostanza più perfetta e celeste, dopo che il sacerdote intenzionalmente lo consacra e pronuncia quelle parole che la Chiesa comanda di usare per la consacrazione.

Questo significa che il pane consacrato non ha più la sostanza del pane, neanche la materia del pane, ma solo i suoi accidenti. I miracoli eucaristici servono anche a dimostrare questa realtà, che l’intelletto umano può spesso capire con gravi difficoltà e quindi difficilmente credere. Si consideri il miracolo eucaristico di Lanciano. Le ostie, nonostante siano passati secoli, sono ancora là, con i loro accidenti di pane, eppure natura vorrebbe che quel pane sia ammuffito e decomposto. Se solo fosse sostanzialmente pane. Il punto è che quel pane non è davvero pane, ma è Gesù Cristo negli accidenti di pane. Per questa ragione, san Tommaso d’Aquino scrive nella Summa theologiae che è dottrinalmente sbagliato dire: “Questo pane è il corpo di Cristo” (S.Th. III, q. 75, a. 8, co.), ma che si dovrebbe piuttosto dire, come fa sant’Ambrogio di Milano nella sua opera I Sacramenti, “dal pane si ottiene il corpo di Cristo” (De Sacr. IV, 4, 14).

Gaetano Masciullo