San Benedetto e i 12 gradini dell’Umiltà

Questo post è stato pubblicato sul blog della rettoria “Santa Toscana” in Verona.

La parábola del fariseo y el publicano - 20180310
Vangelo proclamato nella X Domenica dopo Pentecoste (forma straordinaria del rito romano)

La parabola del fariseo e del pubblicano è chiamata da sant’Agostino di Ippona (de Verb. Dom.) “parabola dell’umiltà”. Essa si trova unicamente nel vangelo secondo Luca, in un contesto più generale sulla necessità della preghiera.

Humility and Martial Arts - Life Skills Worth Learning ...
Un bellissimo proverbio cinese recita: “Sii come il bambù: più in alto cresce, più profondamente s’inchina”.

«La fede – scrive il sapiente Padre della Chiesa – non è dei superbi, ma degli umili». Gesù infatti narra questa parabola ad alcuni “che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri”, dimenticando che la mormorazione è sempre un gravissimo peccato.

La preghiera per essere efficace deve essere dunque dettata da un cuore umile, che cioé si riconosca bisognoso di Dio e facilmente esposto alla caducità del peccato.

La preghiera è infatti una forma di sacrificio. Come si può sacrificare il proprio tempo a Dio, se riteniamo di aver raggiunto già il massimo grado della perfezione? Certamente, è possibile raggiungere una grande perfezione cristiana già in questa vita (ci sono innumerevoli santi a testimoniarlo). L’umiltà tuttavia è parte di questa perfezione, perché questa piccola virtù – lungi dall’essere uno sminuimento gratuito della propria persona – è in realtà la chiave del realismo cristiano.

La persona umile non è quella che ritiene di essere inferiore a ciò che egli è, ma è colui che, libero da un eccessivo amor proprio, è capace di giudicare, di esaminare se stesso, nei vizi e nelle virtù, con oggettività. E’ colui che è capace di “trascendere se stesso” per guardarsi con gli occhi di Dio.

Il superbo, al contrario, non è razionale: guarda se stesso esclusivamente con gli occhi dell’amor proprio (proprio così: non tutti gli amori sono cosa buona) e, molto spesso, con gli occhi dell’invidia e del rancore. Il pubblicano della parabola si riconosce peccatore e lo era davvero, perché guarda se stesso con oggettività. Questo giudizio vero genera la contrizione del cuore, che ottiene il perdono di Dio.

Allegoria dell'umiltà (J.M. Rottmayr, 1714)
Allegoria dell’Umiltà di Rottmayr (1714). In mano, la figura ha alcuni simboli medievali del pentimento.

Il fariseo insuperbito, invece, non è capace di dare un giudizio veritiero su se stesso. Il primo passo per crescere nella virtù e dunque nella santità è l’umiltà, cioé la capacità di giudicarsi. Si può forse raggiungere una meta senza conoscere il viaggio da intraprendere? Forse sì, ma con estrema difficoltà. L’umiltà è come la cartina dell’anima, il mezzo sul quale possiamo leggere le tappe della nostra via sanctificationis, grazie alla luce proveniente dalla preghiera, dalla direzione spirituale e dai Sacramenti.

Un altro grande santo, san Benedetto da Norcia, nella sua famosa Regola scrive che l’umiltà è come una scala composta da dodici gradini. Questo fa capire quanto sia difficoltoso coltivare questa virtù, che pure è così fondamentale.

Ecco i dodici gradi dell’umiltà:

  1. “L’umile tema Dio e si ricordi di tutte quelle cose che Egli ha comandato”. Il timore di Dio è il principio della sapienza, ma anche dell’umiltà. Dalla sapienza, cioè dalla fede, abbiamo infatti la conoscenza delle cose necessarie per moderare il nostro appetito e per ambire solo a quelle cose grandi che possiamo verosimilmente raggiungere.
  2. “Non si compiaccia di fare la propria volontà”. Moderando l’appetito, si comincia con il comprendere che Dio conosce meglio di noi il motivo per cui esistiamo e cosa ci rende davvero perfetti e felici. Allora da questa consapevolezza nasce il realistico desiderio di anteporre la volontà di Dio alla nostra personale volontà, che può sbagliare.
  3. “Regoli la propria volontà secondo la volontà di chi gli è superiore”. Una volta compreso che la nostra volontà è fallace, bisogna regolarla secondo la volontà di chi ci è superiore, di colui che vede meglio e più lontano di noi: anzitutto Dio, ma poi anche coloro che ci sono superiori per ruolo, come può esserlo il direttore spirituale, il papa o il genitore, a seconda delle circostanze.
  4. “Non desista dalle cose dure e difficili che possono presentarsi”. Infatti, lasciarsi scoraggiare e vincere dalle difficoltà può essere un sintomo di superbia. Chi infatti ci ha mai detto che avremmo raggiunto tutti i nostri obiettivi? Tutti i beni vengono da Dio solo, e l’uomo li raggiunge quando è sostenuto dal suo aiuto, anche se molto spesso egli non si accorge di questa grave realtà e, non accorgendosene, cade nella tristezza quando vede il fallimento.
  5. “Riconosca e confessi i propri difetti”. Dopo aver moderato l’appetito, l’uomo umile modera il giudizio che egli ha sui propri difetti, ma egli non lo fa per sminuirsi e per tarparsi le ali. Anche la pusillanimità, che è il vizio contrario al vizio della presunzione, è generato dalla superbia. L’uomo umile giudica rettamente i propri difetti al fine di correggerli e innestare al proprio posto le virtù corrispondenti.
  6. “Creda e confessi di essere indegno e inutile in ogni cosa”. Dopo aver rettamente considerato i propri difetti, l’umile capisce bene a cosa può ambire e a cosa non può ambire. Ma l’umiltà richiede anche un’ulteriore consapevolezza, come ci insegna il vangelo. Anche per quanto riguarda quelle cose che possiamo raggiungere, l’umile sa sempre che è possibile raggiungerle per volontà divina e che noi non siamo indispensabili e necessari a causa di questa nostra capacità. Solo Dio è necessario. Noi siamo creature e quindi “noi siamo servi inutili: abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare” (Lc 17,10).
  7. “Si ritenga più spregevole degli altri”. Ancora una volta, dobbiamo precisare che questo grado dell’umiltà non è dettato da un inutile quanto dannoso disprezzo di se stessi. Lo ripetiamo: la pusillanimità, cioè valutare se stessi meno di quanto si è realmente, è un peccato! La ragione di questo precetto di san Benedetto è invece molto sensato: dal momento che non possiamo leggere le intenzioni, i difetti e le virtù del cuore altrui, e dal momento che giudicare negativamente il prossimo causa maldicenze e altri peccati simili, partiamo dall’assunto che il prossimo sia più bravo di noi in tutto, dopodiché saranno i fatti a farci giudicare rettamente e a farci agire di conseguenza.
  8. “Non receda nelle sue azioni dalla regola comune”. Più procediamo sui gradini dell’umiltà, più troviamo precetti davvero duri da accettare e mettere in pratica. Troviamo precetti davvero controcorrente. San Tommaso d’Aquino insegna che uno degli effetti della vanagloria è quello di apparire a tutti i costi come una novità. Quanto è difficile invece esercitare il santo nascondimento esercitato dai santi! Eppure, è proprio nel nascondimento che i santi hanno forgiato la civiltà cristiana… L’umile si adegua alla regola comune, tranne in un caso: quando la regola comune contraddice Dio.
  9. “Non parli prima del tempo”. Dopo essersi moderato nei segni esteriori, l’umile si modera nelle parole. Anche questo è molto controcorrente: oggi viviamo nell’era della chiacchiera. Quante parole inutili vengono riversate da ogni parte: e quale effetto si ha se non quello di rigonfiare il proprio cuore e rallentare la riflessione? E’ piuttosto meglio essere prudenti, aspettare nel parlare ed esprimere giudizi. Questo atteggiamento migliora le nostre relazioni e ci rende più lucidi nelle osservazioni.
  10. “Non ecceda nel modo di parlare”. Non basta parlare dopo aver pensato: bisogna anche parlare poco e bene. La chiacchiera vanifica quello che vogliamo comunicare e molto spesso ci rende anche ridicoli agli occhi di chi ci ascolta.
  11. “Non alzi gli occhi verso l’alto”. Questo precetto non ci comanda di camminare con l’aria da cane bastonato, ma di assumere un corretto atteggiamento temperato anche nei gesti esterni. La superbia ci spinge a voler avere sempre ragione, e qual è il fine di questo sentimento se non quello di essere lodati dall’uomo? Non alzare gli occhi verso l’alto significa non voler sfidare il prossimo e, soprattutto, non sfidare Dio, che è “in alto” rispetto a noi uomini.
  12. “Reprima i segni di sciocca letizia”. L’ultimo gradino è anche quello più difficile da mettere in pratica. Oggi si tende molto facilmente a ritenere il riso e la letizia come segni di felicità interiore, ma questa è una grande illusione del mondo moderno. Per quanto possa essere antipatico da dire ai nostri tempi, la “sciocca letizia” – tanto disprezzata dai Padri della Chiesa – è in realtà un segno di immaturità psicologica e spirituale.

La società frenetica contemporanea non ci sprona all’umiltà, che è anzi esplicitamente indicata come un vizio. Oggi siamo continuamente spronati all’orgoglio, ma non ci è dato il tempo di riflettere e di chiederci se tutto questo orgoglio ci renda realmente migliori. L’orgoglio ci illude di essere buoni così come siamo. Ci sentiamo buoni, ma è solo una illusione.

Un proverbio antico recita: “Chi non sale, scende”, per dire che nel progresso spirituale non è possibile stare fermi. L’orgoglio è come le sabbie mobili: ci accontentiamo di quello che siamo e ci impantaniamo davanti allo specchio di Narciso, ma la natura dell’uomo è tale che, quando ci si ferma lungo la salita al monte della perfezione, inevitabilmente si finisce per essere risucchiati dalla “gravità” del peccato originale.

Teniamo alto lo sguardo, allora, e proseguiamo dritti, anche se con mille fatiche, verso la meta della perfezione.

Gaetano Masciullo