Brevità o eternità della Vita?

Questo commento è stato pubblicato sul blog della Rettoria Santa Toscana in Verona.

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Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 16, 16-22.
In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Módicum, et iam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis eius ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo, quid est hoc, quod dicit: Módicum? nescímus quid lóquitur. Cognóvit autem Iesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaéritis inter vos, quia dixi: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis, et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora eius: cum autem pepérerit púerum, iam non méminit pressúrae propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos ígitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.

Seguito del S. Vangelo secondo Giovanni 16, 16-22.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre”. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: “Che significa ciò che dice: ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quello che dice”. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo e disse loro: “Vi chiedete tra voi perché abbia detto: ancora un poco e non mi vedrete più e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà il vostro gàudio”.

Nella Quarta Domenica di Pasqua, la Chiesa cattolica proclama una delle profezie di Gesù riguardanti la sua Resurrezione. La domanda centrale del brano è quella che gli apostoli mormorano tra loro: “Che cos’è questo poco di cui parla?”

Con il senno di poi, noi sappiamo bene che il tempo tra la Passione di Cristo e la sua Resurrezione fu effettivamente poco. Ma dietro questo apparentemente banale riferimento cronologico, soggiace un significato molto più profondo ed esistenziale. Da una parte, infatti, Gesù parla di dolore breve, mentre dall’altra parla di gioia eterna.

Questo è infatti lo statuto del cristiano che vive secondo la volontà di Dio e fa proprio il merito della Croce. Ma attenzione alla specificazione fatta da Gesù: “voi piangerete e gemerete, laddove il mondo gioirà”. Il mondo – cioè gli uomini che vivono secondo le mode, secondo i desideri carnali, secondo le ideologie, secondo le ispirazioni diaboliche – ha (contrariamente al cristiano) una gioia effimera e di conseguenza è destinato a un dolore eterno. E’ una condizione esattamente contraria a quella del cristiano.

Il poco di cui parla Gesù fa riferimento quindi anzitutto alla condizione della vita terrena del cristiano. Molti, ingannando, insegnano che il fine della vita umana è quello di godere, perché la sofferenza non ha senso, e dopo la morte tutto tacerà e il nostro cervello si spegnerà come un computer privo di energia elettrica. Ma la promessa di Dio, colui che ha plasmato la natura dell’uomo, è diversa: “il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà il vostro gaudio. Eppure, questo gaudio non è scontato.

Bisogna passare dal Tabor, quindi dal Calvario, e solo poi arrivare sul colle della Resurrezione. Non significa che Dio è sadico e che il cristiano deve desiderare la sofferenza più di ogni altra cosa al mondo. Il cristiano non è colui che ricerca il dolore, ma colui che sa accettare il dolore, perché si affida alla Provvidenza ineffabile del Signore, e nella preghiera chiede la luce per comprenderne il significato e il senso. Il cristiano è colui che si impegna a salire sul monte della virtù, che è sempre faticosa da acquistare, ed esige privazioni. Esige sacrifici.

In confronto alla vita eterna, la nostra vita terrena è estremamente breve. La Chiesa, dunque, proclama oggi questo vangelo per ricordarci di vivere proiettati secondo l’eternità e non secondo la caducità. Solo in questo modo saremo davvero degni di essere chiamati con il nome di cristiani. Non basta essere battezzati per essere veri cristiani. Non basta parlare di Dio e di Gesù per essere veri cristiani. E’ necessario mettere le virtù al centro della propria vita, fare di esse il proprio pensiero costante: tutto deve essere orientato verso la virtù e tutto deve essere mosso dal desiderio della virtù. In questo modo, saremo graditi a Dio e risorgeremo con lui.

Gaetano Masciullo