4. Giustizia e Uguaglianza non sono sinonimi

Il famoso divulgatore e storico Alessandro Barbero si è scagliato recentemente contro il “mito moderno del merito”, sostenendo così che il fine della scuola sia quello di portare tutti gli alunni allo stesso livello di competenze e di conoscenze. Si tratta evidentemente di un’applicazione socialista al mondo della scuola, ma quello che più turba è il fatto che, tra gli intellettuali, vige ancora questa profonda convinzione secondo la quale uguaglianza e giustizia sarebbero sinonimi. Si tratta in realtà di un sofisma antico e pericoloso, che ha dato vita ai peggiori totalitarismi della storia.

La verità – e qui spero di non scandalizzare troppo i più – è che l’uguaglianza è sempre causa di ingiustizia, mentre una società giusta è sempre una società che al suo interno vede rispettata una serie di differenze ed è quindi di conseguenza necessariamente disuguale.

Anche il deputato 5 Stelle Giuseppe Conte recentemente alla Camera ha citato una frase di Enrico Galiano, famoso romanziere e influencer, secondo la quale «il compito della scuola non è quello di selezionare i migliori, ma di tirare da ognuno il meglio di sé». Si tratta di una frase emotivamente coinvolgente, retoricamente bella, che lascia un gusto di chissà quale profondità intellettuale… Ma in realtà è una frase che a un’attenta analisi non significa nulla! Perché dire che la scuola serve a tirare da ogni alunno il meglio di sé, significa proprio affermare che non è possibile non creare disuguaglianze. Il meglio di Mario non sarà mai il meglio di Teresa.

All’origine della diffusa convinzione secondo la quale ogni disuguaglianza sia intrinsecamente ingiusta è dovuta a una cattiva predisposizione dell’anima umana, a uno di quei vizi che un tempo i teologi chiamavano “vizi capitali”, e cioè all’invidia, che san Tommaso d’Aquino definisce come quella tristezza che insorge nell’anima quando si è testimoni di un bene altrui.

Recentemente sono stato ospite di un caro amico in campagna, in provincia di Padova, insieme a tante belle famiglie cattoliche che hanno messo in piedi un progetto di scuola parentale, e durante questa giornata all’insegna della semplicità, della spontaneità e della gioia, alcuni bambini hanno deciso di improvvisare un gioco di tiro ai barattoli disposti in maniera piramidale sopra un tavolo, da colpire a una certa distanza. Ebbene, mi ha fatto pensare come i bambini abbiano spontaneamente deciso che i più piccoli dovessero colpire i barattoli da una distanza inferiore rispetto a quella dei bambini più alti: in altre parole, quei bambini avevano spontaneamente compreso che, appiattendo le condizioni di partenza, imponendo dunque una forma di uguaglianza, si sarebbe generata un’ingiustizia. Ma i bambini più alti non avevano gusto a giocare con avversari sconfitti in partenza in nome dell’uguaglianza, avrebbero preferito perdere sapendo però che gli avversari erano stati messi in condizione di gareggiare “ad armi pari”, pari non perché identiche alle loro, ma perché adeguate alle proprie condizioni irripetibili. La disuguaglianza in quel caso ha creato giustizia.

Questo episodio me ne ha fatto venire in mente un altro. Durante la pandemia, io ero in Svizzera per motivi universitari, ed ero ospite – come tanti altri ragazzi della mia età – di un college studentesco.

Quando fu dichiarato il lockdown, ci fu permesso di uscire soltanto per poco tempo, per necessità impellenti o per fare acquisti, e pertanto decidemmo di organizzare i turni per uscire e fare compere, dopodiché avremmo diviso il costo delle spese e distribuito equamente quanto acquistato tra i membri della collettività.

Ma io, insieme ad altri tre o quattro ragazzi, non avevamo alcun bisogno di accodarci a questo progetto, perché avevamo sempre fatto spesa in maniera previdente, così da accumulare scorte per un periodo maggiore di tempo, a differenza degli altri che invece compravano al bisogno.

Di conseguenza, la spesa da dividere risultava maggiore per i ragazzi rimasti. E fui colpito dal fatto che, durante questa riunione, una persona che studiava – pensate un po’ – teologia in un istituto di scienze religiose, esclamò: “Ma non è giusto!”.

Cioè secondo questa persona la previdenza esercitata da noi quattro danneggiava gli altri, che non erano stati capaci di essere lungimiranti; un po’ come nella favola di Esopo della cicala e della formica.

In realtà quel risentimento, travestito ideologicamente di uguaglianza, era stato generato dall’invidia e dalla constatazione che adesso ognuno avrebbe speso di più per mangiare, quando invece sarebbe stato possibile obbligare tutti ad acquistare il cibo in gruppo, e chi se ne importa se il cibo già acquistato da alcuni sarebbe andato a male.

Ciò che avviene a livello sociale è solo la riproduzione in larga scala di ciò che avviene in questi piccoli contesti. L’uguaglianza genera sempre ingiustizia.

Gaetano Masciullo