2. Marx compagno di setta

Sto scrivendo per Fede & Cultura un saggio sul pensiero filosofico-teologico e sulla storia della Massoneria, dagli albori fino all’età contemporanea, per mettere in luce le modalità con le quali le logge sono riuscite nel corso degli ultimissimi secoli a mandare avanti una vera e propria guerra contro la tiara, cioè contro l’autorità e l’istituzione del papato.

A un certo punto della mia ricerca, ho voluto indagare sull’influenza che la Massoneria ha avuto sulla genesi dell’ideologia marxista. Quello che ho scoperto è stato davvero sconcertante, anche perché è andato ben oltre le mie aspettative. Voglio parlarvi brevemente di questa inquietante constatazione.

Nel 1936, un piccolo dirigente rumeno del partito comunista – all’epoca la Romania era uno Stato satellite dell’Impero sovietico – in seguito alla predicazione di un povero falegname, decise di convertirsi al cristianesimo. Quest’uomo si chiamava Richard Wurmbrand, e nel 1948, dopo essere stato nominato ministro della Chiesa luterana, dichiarò pubblicamente che cristianesimo e comunismo non possono essere in alcun modo compatibili. Quella dichiarazione fu pagata a caro prezzo. Egli fu arrestato e condannato a otto anni e mezzo di carcere duro; poi nel 1959 fu imprigionato nuovamente e condannato ad altri 25 anni di prigionia. La detenzione di Wurmbrand implicava, com’era prassi, violenze fisiche e psicologiche.

Nel 1964, grazie a un’azione congiunta di alcune potenze straniere, Wurmbrand fu liberato ed espatriato. La sua predicazione anti-comunista proseguì, fino a quando negli anni Ottanta fu pubblicato un suo libro dal titolo disturbante. Suonava così: Marx e Satana.

Wurmbrand sosteneva che il giovane Marx si fosse avvicinato a una qualche società segreta adoratrice di Lucifero. Un’affermazione che potrebbe puzzare di complottismo da quattro soldi: peccato però che il presbitero luterano aveva compiuto un’attenta ricerca all’interno degli scritti dello stesso Marx e dei suoi biografi, opere che anche io ho voluto consultare per avere conferma, e che chiunque può consultare visitando una biblioteca ben fornita.

Com’è noto, Marx nacque in una famiglia ebraica benestante di Treviri, in Germania. Il suo vero cognome era Halevi Marx, apparteneva cioè alla tribù di Levi e – come tale – era destinato a diventare rabbino. Se non fosse che il padre, per opportunismo politico, decise di ripudiare la propria identità ebraica e si convertì al luteranesimo.

Il giovane Karl fu così il primo della sua famiglia a non ricevere un’educazione rabbinica, ma cristiana. Era un ragazzo molto religioso, tanto che giovanissimo scrive – pensate un po’ – addirittura un commento esegetico al cap. 15 del vangelo secondo Giovanni. Poi di colpo, qualcosa cambia, nell’animo del giovane Karl Marx.

Nel 1837, in occasione del compleanno del padre, Marx scrive una raccolta di poesie. Ma sono poesie davvero strane, per essere state composte in un’occasione simile. Una di queste si intitola Invocazione di un disperato. Vi leggo solo alcuni versi: «Un dio mi ha strappato tutto / Nella maledizione e sulla soglia del Destino. / Non mi resta altro che la vendetta! / Su me stesso vendetta con orgoglio farò, / Su quell’essere, quel Signore in trono / Costruirò il mio trono lassù in alto, / Freddo, tremendo sarà il suo vertice. / Per suo argine – un terrore superstizioso, / Per suo maresciallo – l’agonia più nera. / E il fulmine dell’Onnipotente / Se abbatterà le mie mura e le mie torri, / L’eternità le risolleverà, ribelle».

Sì, davvero una strana poesia da dedicare “con affetto all’amato padre”. Ma cosa aveva fatto di così terribile quel Signore seduto lassù in trono contro il povero Marx, tanto da suscitare in lui tanta rabbia e desiderio di vendetta?

Nel 1839, ecco che un’altra strana opera viene partorita dalla mente del giovane Marx. Si tratta questa volta di una tragedia. Il titolo è Oulanem e parla di un filosofo tedesco sprofondato nel nichilismo più sordido, che ha per nome appunto Tillo Oulanem. Ma il cognome del filosofo è in realtà l’anagramma di Emanuol, Emanuele, il nome di Gesù. Il protagonista della tragedia, sconvolto dall’insensatezza della vita, alla fine decide di suicidarsi.

Secondo i critici, sarebbe una trasposizione drammaturgica della vita scombussolata dello stesso giovane Marx, ma… se così fosse, che cosa avrebbe causato tanta disperazione nel cuore di quello che all’epoca appariva soltanto un giovane umanista?

Gaetano Masciullo